Quando si tratta di distribuire le qualità fondamentali per condurre una band al successo, spesso e volentieri gli Dei della Musica denotano una perfidia fuori dall’ordinario.
Così, se vengono elargite dosi abnormi di talento puro non si è altrettanto generosi con le capacità manageriali e di marketing (un esempio su tutti:
Diamond Head), il che vale anche al contrario (
Slipknot, vi fischiano forse le orecchie?); spesso, a una perizia strumentale mostruosa si abbina una mediocre sensibilità compositiva (qui l’elenco di gruppi prog e technical death in dolo sarebbe sterminato…); altre volte, le dispettose divinità si rivelano munifiche in ogni aspetto… sfiga compresa (impossibile, in tal senso, non citare i meravigliosi
Savatage).
E ai britannici
Northern Oak che trattamento è stato riservato?
Beh, direi che poteva andar peggio ma anche meglio: il loro folk metal evidenzia doti naturali nella media, discrete abilità esecutive e di songwriting, originalità e varietà prossime allo zero, gusto per i dettagli rivedibile (si veda la qualità media degli artwork e delle produzioni per chiarimenti in proposito)…
Quantomeno, va loro riconosciuta una buona dose di tenacia e di umiltà, doti comunque importanti.
Infatti, dopo un esordio oltremodo acerbo come
Tales From Rivelin (2008), i Nostri hanno saputo limare i difetti e le ingenuità più eclatanti, proponendo al pubblico un secondo full length (
Monuments, 2010) senz’altro più professionale. Oggi la storia si ripete, e con
Of Roots and Flesh tocchiamo l’apice discografico del sestetto di
Sheffield.
Con ciò, si badi, non intendo certo suggerire che c’è scappato il masterpiece; in realtà, alcuni problemi storici dei
Northern Oak si ripresentano puntuali anche in quest’ultima release. Sì, il gusto per i dettagli può dirsi ancora latitante: la copertina è orrida, così come poco ficcanti si rivelano i suoni (basso a parte).
Parimenti, non si è ancora trovato modo di superare la prolissità di svariati passaggi e la banalità di taluni riff -che agiscono nelle retrovie e demandano al flauto l’onere di imbastire le melodie portanti-.
Peccato, perché nascosti tra brani non irresistibili (la noiosa opening track
The Dark of Midsummer, l’ampollosa
Taken e l’insulsa
Bloom) si possono rinvenire svariati momenti positivi: penso all’incalzante incedere di
Only Our Names Will Remain, al magniloquente chorus della title track, al fascino brumoso di
Nerthus…
Insomma, la morale sembra chiara: gli entusiasti del folk si smarriranno volentieri nei solchi di
Of Roots and Flesh, prodotto onesto e ben più che dignitoso. E questo è quanto.
Margini di miglioramento se ne intravedono ancora, ma non tali da azzardare previsioni troppo ottimistiche. Inseriamo dunque i
Northern Oak nel nutritissimo novero (
Arkona,
Thyrien,
Fortid,
Skyforger,
Metsatoll,
Equilibrium e mille altri) di inseguitori lanciati alle calcagna di band cui gli Dei della Musica sembrano aver riservato un trattamento di favore.
Le raggiungeranno mai?
Se fossi in
Ensiferum,
Finntroll,
Eluveitie e compagnia dormirei sonni tranquilli; in ogni caso, chi vivrà vedrà.
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