Conta solo la musica.
Conta solo la musica.
Conta solo la musica.
Conta solo la musica.
Conta solo la musica.
No, non mi sono ammattito come
Jack Torrance in
Shining.
Semplicemente, sto ripetendo a mò di mantra quello che reputo un pilastro incrollabile dei miei principi metallici: giudicare la musica per quello che è, per le sue qualità intrinseche, espungendo dalla valutazione elementi ad essa esterni -o quantomeno di contorno- quali connotazioni politiche, credo religiosi e generiche opinioni dei suoi stessi creatori.
Certo, capita che debba tapparmi il naso per fruire di cosiddette christian band (che dio le maledica); d’altra parte, essendo tendenzialmente avvezzo alle estrinsecazioni estreme della nostra musica prediletta, ciò accade molto di rado.
Ben più spesso, invece, mi tocca soprassedere sulle derive ideologiche propugnate da esponenti della scena black, inclini a prese di posizioni che definirei, facendo largo uso delle mie doti diplomatiche, discutibili.
Quindi facciam finta di niente e procediamo, come lo stesso titolo del platter suggerisce: ho approcciato con discreto senso di attesa il nuovo
Vorwarts dei compatrioti
Absentia Lunae, già autori di un ottimo lavoro come
Historia Nobis Assentitvr.
Credo di poter affermare che le promesse sono state mantenute: il black metal dei Nostri si è fatto ancor più belligerante e altero, rielaborando (se non mi tacciate d’irriverenza, azzarderei “perfezionando”) l’insegnamento impartito dagli ultimi
Mayhem. Attendetevi dunque suoni asciuttissimi, trame contorte (e talvolta sovrabbondanti), alternanza continua tra blast beats e drum patterns dal forte sapore marziale, cascate di riff dissonanti.
Più che positiva la prestazione dei musicisti coinvolti, davvero chirurgici nel tessere le loro gelide trame; qualche perplessità in più suscita la performance vocale di
Ildanach, in sé e per sé inappuntabile, varia e maligna, ma a mio avviso troppo poggiata sugli stilemi canori del buon vecchio
Maniac, in particolar modo in occasione delle parti declamate.
Non azzeccatissima, poi, la decisione di alternare l’utilizzo dell’italico idioma a quello proprio della Perfida Albione: anche sorvolando su qualche lieve imbarazzo nella pronuncia, si finisce così per svilire l’originalità di una formula che avrebbe potuto essere ancor più identitaria –come accade, ad esempio, nella title track o nella seconda porzione di
Tragedy Told By Golden Horns-.
Poco male: composizioni come
Manipulated Statues of Flesh e
Furor of the Monuments sapranno disperdere le perplessità dei blackster più esigenti.
Worvarts, valutato nella sua globalità, rappresenta comunque un’opera di indubbio spessore, consigliata a chiunque desideri smarrirsi in universi sonori sprezzanti, inumani e crudeli.
Avanti così (finale scontato, ne convengo).
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