Siete stati attirati dallo stupendo artwork di
Gung Yang anche se non conoscete la band, vero? E se vi dicessi che anche l'album è davvero bello brutalone? Se vi raccontassi che i
Carnality non sono dei novellini ma si sono formati nel lo lontano 1999?
Tutto vero.
Altro disco di brutal technical death, altro disco valido. Perché qui ormai sembra che sia una cosa normale: band italiana che suona death (con le diverse inflessioni) = bel disco. Saremo in un momento favorevole? Le costellazioni saranno allineate? Le radici dell'albero del male, un tempo profonde in Florida, avranno attecchito particolarmente bene anche sul nostro suolo? Che ne so, sta di fatto che è importante non sminuire la qualità di questi lavori che continuano ad uscire ed oggi raccogliamo i frutti dei
Carnality, che arrivano da Rimini con un bel carico di ferocia.
A 15 anni dalla fondazione ed a tre dal precede te lavoro,
Manuel Arlotti (batteria) e
Marco Righetti (chitara) rimangono il fulcro della band, qui aiutata dai nuovi innesti di
Shane Graves (al basso) e del bravissimo
Luca Scarlatti alla voce, insieme formano una macchina da guerra compatta e letale. Il suono dei
Carnality deve molto a quello di
Hour of Penance e
Beneath The Massacre sia per la costruzione dei pezzi che per l'impatto, senza però scimmiottare le band in questione i riminesi riescono ad essere credibili e letali. Il loro death metal tecnico è moderno come forma ma non si avvale di espedienti usati ed abusati come breakdown frequenti o voci doppiate growl/scream, si affida invece all'ugola d'acciaio di
Scarlatti che riesce a variare molto la sua prova rimanendo sempre potente e convincente e mettendo perfetti accenti sulle diverse parti delle canzoni. Ma come sono questi brani? Dei pugni in faccia belli forti, con una quantità di riff davvero esagerata che coabitano con la mostruosa batteria, senza che nessuno si sganci in inutili divagazioni, senza che la sboronaggine venga fuori, mai. Anche il lavoro del basso è rilevante ed è ben presente nell'accompagnare le chitarre, nel dare profondità ma resta, diciamo, al suo posto senza prendersi vetrine speciali. Il fatto di essere così misurati e compatti è sicuramente un vantaggio, i quattro si possono in questo modo concentrare nel creare canzoni opprimenti, atmosferiche o con inserti più melodici. In certi frangenti ci sono dei bei rallentamenti, a volte intrisi di assoli dal sapore classico, altre volte è "annientamento" la parola chiave. La summa delle loro caratteristiche è riscontrabile in pezzi particolarmente riusciti come
Doomsday (dal buon groove),
Fall Of The Human Ratio (una delle più "moderne"),
God Over Human Ruins o la finale (divisa in tre parti)
Silent Enim Leges Inter Arma.
Completa il pacchetto una produzione perfetta con suoni potenti, veri, non eccessivamente puliti ma ben amalgamati.
Il minimo che potete fare è dargli un bell'ascolto, senza risparmiare il volume.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?