Cosa c’è di meglio, per i
fedelissimi del
rock melodico (quelli che l’hanno sostenuto anche negli anni “bui” e che oggi gioiscono, magari con un piccolo e malcelato moto di “rivalsa”, per una sua capillare riscoperta …), di un gruppo denominato
In Faith e che ha in repertorio un pezzo intitolato “Church of rock n’ roll”?
A parte le facezie, indipendentemente dal fatto che siate assidui devoti del genere o suoi novizi, sono certo che apprezzerete ampiamente “There’s a storm coming”, disco che porta alla ribalta un importante nome “nuovo” del settore, allestito, in realtà, da personaggi piuttosto esperti e preparati della scena britannica.
Pete Godfrey (l’unico vero esordiente a certi livelli, seppur non certo un “novellino”), Tony Marshall (ex Contagious, Pride, Vaughn) e Pete Newdeck (Tainted Nation, Newman, ex Eden’s Curse), sfornano, con l’aiuto di alcuni preziosi ospiti (Brooke St. James dei Tyketto, Chris Green di fama Rubicon Cross, Pride e Furyon e Pat Heath, ex degli stessi Furyon), un’operina davvero godibile, dal consistente potenziale espressivo, alimentato da alchimie sonore appassionate e coinvolgenti e da un gusto compositivo ispirato e assai incisivo.
Con Def Leppard, Bon Jovi, Harem Scarem e Danger Danger nel ruolo di nobili referenze e con il supporto di una produzione piuttosto pertinente, l’albo piazza senza indugi un paio di sgargianti gioiellini del calibro di “Radio” e “Does it feel like love” (ai notabili succitati aggiungete pure i Journey e un pizzico di antico ardore Bolton-
iano), capaci di ammaliare istantaneamente ogni melomane all’ascolto, pronto per accedere, subito dopo, all’esuberante “Chiesa del rock n’ roll” con la giusta predisposizione “spirituale”.
A questo punto, accogliere le melodie maliose di "Addicted” e "In flames” e la grinta raffinata della brillante "All or nothing” e della vagamente Scorpions-
esca “Bitter end” sarà ancora più “agevole”, finendo per essere fatalmente convertiti al “culto” frizzante ed elegante di un programma di ottimo livello complessivo.
Anche il versante prettamente romantico, rappresentato da "Where I wanna be”, “If that’s what love means” e “Million ways”, infatti, viene risolto con classe, scongiurando rischi di eccessiva stucchevolezza e lasciando che sia la sola “Leave me now”, con le sue trame
poppettose, a destare qualche perplessità.
Non esattamente una “tempesta”, ma un debutto sicuramente notevole, da gustare dalla prima all’ultima nota.
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