Continua inarrestabile il viaggio di
Vardan nei meandri del black metal di vecchia scuola.
Dal 2007 siamo già arrivati al nono (!) album di studio, senza che l'artista siculo abbia mai introdotto novità o volontà di rinnovamento nella sua proposta.
Cosa dire dunque del nuovo
"Verses from Ancient Times" (già il titolo è una dichiarazione di intenti)?
Davvero poco che già non sia stato trattato.
Immaginate di essere in Norvegia nei primissimi anni '90, chiudete gli occhi, strappate i calendari, spegnete la luce e via così... chitarre zanzarose, batteria della quale spicca soprattutto il charleston, tastiere che sono palesemente influenzate da un celebre Conte, urla disperate più o meno sempre uguali, tempi che, spesso, si adagiano su un classicissimo 4/4, accelerazioni improvvise... insomma tutto secondo copione.
Evidentemente
Vardan ritiene che la musica estrema si sia fermata all'anno 1993 e a quel periodo dedica la sua attività.
Questo è un bene o un male?
Se cercate originalità, tutto ciò è un male.
Se anche voi, invece, amate QUEL black metal,
Vardan potrebbe piacervi, fermo restando che i suoi modelli, qualitativamente, sono molto distanti e il nostro è "solo" un discreto epigono capace, va tuttavia ricordato, di buoni spunti da ricercarsi, nel caso specifico di questo album, in pregevoli intuizioni in chiave melodico/epica che rendono affascinanti i brani se ascoltati con attenzione.
Adesso lascio a voi la decisione se perdervi o no in un suono ormai morto.
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