Brant Bjork è uno che non ama stare con le mani in mano. Tra bands nelle quali ha militato, progetti personali e collaborazioni, ha messo insieme una carriera discografica di tutto rispetto. Dai Kyuss ai Vista Chino è stato protagonista dell’intera storia dello stoner/desert rock, inteso come lo stile sospeso tra tumultuosità sabbiose e profumi psichedelici settantiani.
Però, a mio avviso, è stato sempre un po’ sottovalutato come musicista, forse oscurato da amici-colleghi ben più osannati. Invece, quando Bjork lavora per conto proprio, i risultati sono sempre superiori alla media.
Anche la sua ultima fatica “Black power flower” ci riconsegna le atmosfere che gli appassionati del genere amano di più, quelle dense di groove ma segnate da un velo di malinconia narcotica. Una serie di brani che si snodano tra ritmiche sostanziose, dinamismo e stati di coscienza alterati.
Qui B.B. è chitarrista/cantante, ma il suo stile non muta. Episodi solidi e carichi di stampo kyussiano (“Controllers destroyed”, “Strokely up now”, “Soldier of love”) e puntate più acide ricche di sciabolate chitarristiche (“That’s a fact jack”, “Where you from man”), il tutto condito con buona sensibilità melodica e strumentale.
Sinceramente, non si può pretendere di più.
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