Ho sempre fatto fatica a trovare le parole giuste per definire l'avant-garde metal.
La mia testa e le mie orecchie sanno bene di cosa si tratti e cosa aspettarsi mettendo su, ad esempio, gli
Arcturus, i
Solefald, buona parte della produzione dei
Borknagar (potrei citare molti altri gruppi, con i quali mi scuso per l’omissione, ma credo che ci siamo capiti).
Nonostante sia un genere che rientra a pieno titolo tra i miei preferiti, per anni è mancato alla mia conoscenza un tassello dai più ritenuto fondamentale, sia per qualità della proposta che per rilevanza storica.
Eh sì, ci siamo conosciuti tardi, gli
In The Woods... ed io, e forse in modo poco canonico, ossia partendo dalla fine.
Non che non li avessi mai sentiti nominare prima, per carità; la loro esistenza mi era nota e diversi amici mi avevano caldamente consigliato di ascoltare
Omnio.
Ricordo che per qualche tempo l'avevo cercato, ma sembrava introvabile e/o inaccessibile (se spuntava fuori da qualche parte il prezzo era irrimediabilmente stratosferico) e c'avevo rinunciato.
Arriviamo al 2016 ed esce
Pure, primo lavoro in studio dopo ben 17 anni di silenzio dal precedente
Strange In Stereo (lasciando perdere live e compilation); lo compro praticamente a scatola chiusa e il risultato è: “
Però, gran bel disco; intenso, elegante, mi piace proprio”. E più o meno ci (ri)fermiamo lì.
Omnio ricompare all'orizzonte qualche settimana fa; questa volta ok, il prezzo è giusto (cit. dedicata a tutta la mia generazione), e finalmente approda nel mio stereo.
Dicevo, ci siamo conosciuti tardi gli In The Woods... ed io, perchè parliamo di un gruppo attivo dai primissimi anni '90 e che, come appena accennato, è rimasto presso che fermo per oltre 3 lustri; li approccio per la prima volta nel 2016, scopro Omnio nel 2019, capite da voi che la tempestività non è stata il mio forte in questa circostanza.
Ha senso parlare oggi di un disco pubblicato 22 anni fa?
Non saprei; questa potrebbe essere la recensione più inutile della storia, ma confesso candidamente e narcisisticamente che mi andava di scriverla, di provare a spendere qualche parola per un'opera che ammalia, cattura, sorprende. Che accende e spegne la luce come e quando vuole.
I track-by-track non fanno per me, solitamente mi annoiano al punto da saltarli proprio quando me li trovo davanti come lettore, quindi non attendetelo, non arriverà; e non troverete, né ora né dopo, frasi tipiche alla maniera di “
Questo disco va ascoltato in cuffia, preferibilmente a metà gennaio in una notte di luna piena con la finestra aperta, in modo da far entrare i -10 gradi dall'esterno: solo così ne coglierete tutto il valore” piuttosto che “
Si tratta di un lavoro complesso, ricco di sfaccettature, che merita numerosi passaggi in modo da poterne carpire ogni sfumatura”.
Insomma, direte voi, ma ce ne parli o no? Finora ci ha raccontato solo di come hai conosciuto gli In The Woods… e di cosa non scriverai.
E in realtà no, penso che non lo farò: correrei il rischio di riproporre concetti che molti, più bravi di me, hanno già espresso nei tempi giusti, e mi sembrerebbe quasi di svilire un patrimonio di emozioni che, come tale, credo debba essere vissuto individualmente e soggettivamente.
Forse, ad essere onesto, devo ammettere che questa non sia definibile nemmeno una vera e propria recensione.
Mettiamola così.
Se conoscete l'avant-garde, come genere vi piace, e non avete mai ascoltato Omnio, prima o poi rimediate.
Se non avete idea di cosa sia l'avant-garde, e quindi per definizione non avete mai ascoltato Omnio, prima o poi rimediate.
Se invece sapete benissimo di cosa sto parlando e di Omnio avete scolpita nella memoria ogni nota, perdonatemi per avervi fatto perdere 5 minuti (immagino sia il tempo di lettura fino a questo punto).
Io potrei ritenere di me stesso che di minuti ne ho persi parecchi, come ho raccontato sopra: più o meno 11.563.200, quelli che stanno dentro 22 anni; ma, alla fine, meglio tardi che mai.
Recensione a cura di
diego