Gli
Stormwitch, che avevano fatto grandi cose a metà degli anni '80, dopo uno stop prolungato si erano ripresentati nel 2002 con l'ottimo "Dance with the Witches" cui avevano replicato un paio di anni dopo con il più debole "Witchcraft". Poi una nuova lunga pausa che ora viene spezzata da "Season of the Witch", che non solo non riesce a portare la formazione tedesca ai fasti passati, ma nemmeno a rimediare ai tentennamenti del precedente lavoro.
Anzi.
Infatti, "Season of the Witch" si rivela un album per larghi tratti noioso e senza - anche nella resa sonora - brillantezza, con le canzoni che via via rivelano ben poca fantasia e varietà compositiva.
"Evil Spirit" è aperta da un sortilegio di qualche strega che rimanda ai bei tempi passati, un opener graffiante, dal buon tiro e ovviamente caratterizzata dalla voce di Andy Mück, Non un inizio sfavillante, ma perlomeno in apparenza in grado di restituirci gli Stormwitch che conoscevamo. Purtroppo l'incantesimo si spezza già con la successiva "Taliesin", oltremodo tediosa e dove anche l'assolo di chitarra risulta dozzinale. Per quanto "Last Warrior" provi poi a rispolverare atmosfere di un disco come "The Beauty and the Beast", non si registrano miglioramenti, il brano scorre anonimo e talvolta indisponente nel drumming ma anche a livello vocale, toppando proprio in quelli che sono sempre stati due tasselli fondamentali nel sound degli Stormwitch.
Si prosegue così nell'ascolto, alla ricerca del brano che dia la scossa giusta e che faccia dimenticare gli episodi zoppicanti e sofferenti che si sono incontrati per strada, tocca così tirare innanzi, scavallando la titletrack, che per quanto si faccia ruvida e serri i ritmi viene svilita dal refrain, e poi passando oltre la ballad "Runescape" (lontana anni luce da "Tears by the Firelight"), approdando così a "At the End of the World" e "The Trail of Tears". Certo, nulla di imprescindibile ma perlomeno in grado di frenare quella caduta libera che sembrava aver ormai intrapreso l'album, con la prima in grado di proporsi in un tiro discreto, le chitarre che provano a incidere e linee vocali convincenti e non particolarmente leziose (se non nel ritornello), cupa e con accenni seventies la seconda.
Poteva essere un buon modo per avvicinarsi alla fine del disco, invece tocca passare sul corpo della fiacca e monotona "Harper in the Wind" dove solo i due chitarristi provano (senza comunque esaltare) a muovere un po' le acque in quella che pare una copia sbiadita di "Princess of the Dawn".
Per chi rivolgerà le proprie attenzioni alla versione Dipipack di "Season of the Witch", gli Stormwitch hanno messo da parte un paio di bonus tracks, per quanto sia la l'annacquata "The Singers Curse" sia "Different Eyes" (innocua ballad pianistica) abbiano ben poco da aggiungere.
Troppo pochi i momenti in grado di rivaleggiare con il passato dei
masters of black romantic e ancor meno quelli che possono aiutare gli Stormwitch a imporsi nel presente.
You want it all, but you can't
read it
It's in your face, but you can't
read it
What is it? It's it
What is it? ... it's the
review
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