Ciuff! Bomba da tre punti ad inizio partita, tutti in piedi!
Non so perché mi sia venuta in mente una metafora sportiva così (reminiscenze del mio passato da scarso giocatore di basket?) ma calza a pennello per il nuovo disco dei
Trial. La band svedese dà un seguito al bellissimo
The Primordial Temple e ci aggiunge qualcosa, non a livello di suono ma di coesione, di omogeneità, andando così a comporre questo
Vessel, gran bomba di gennaio. E ora vi spiego perché.
Stando bene alla larga dal nutrito numero di band che spuntano come funghi e che propongono una rivisitazione di sonorità classic metal di fine '70 ed inizio '80 (alcune molto piacevoli, devo ammetterlo), i
Trial vanno a pescare influenze dal passato ma le ripropongono in una veste assolutamente personale.
Con questa band abbiamo parecchio doom in gioco, quello di scuola
Candlemass, ma è più una questione di atmosfere solenni che di riff potenti. Simili sono le sensazioni, diverso è l'approccio a cui si aggiunge un andamento quasi black (di stampo svedese, naturalmente) delle chitarre che fa drizzare i capelli. Tutto questo è immerso in un alone nero costantemente presente, figlio dei
Mercyful Fate dei primi lavori. A parte il cantato, che richiama sia quello operistico di
Marcolin che quello di
King, i
Trial non copiano altre band, non hanno uno schema fisso, non esiste un andamento preciso e non seguono la formula strofa, ritornello, bridge, ecc.. Qui di ritornelli non ce ne sono, non ci sono parti da cantare che ti puoi ricordare facilmente, c'è "solo" musica, musica pura e teatrale. Gli
Hell sono un'altra (straordinaria) band che mi è venuta in mente durante gli ascolti ma, ancora, nessun riff viene copiato, nessun elemento riproposto pari pari.
Le canzoni sono mediamente lunghe e vanno dai 6 agli 8 minuti, fino alla conclusiva
Restless Blood, che racchiude tutte le loro caratteristiche nel modo migliore, sublimate in 13 minuti di poesia metallica. I brani sono solitamente basati su tempi medi che ospitano aperture acustiche malinconiche, dissonanze angoscianti o accelerazioni (mai esagerate), a volte lunghi soli di chitarra davvero piacevoli, dal sapore antico, lontani anni luce da scale iperveloci o magheggi tecnici. Tutto è al posto giusto, con la botta di potenza (quasi in chiusura) di
Where Man Becomes All che aggiunge energia ad un disco eccellente.
Mentre scrivo, nonostante siano passati diversi ascolti, sto ancora volando a una spanna dalla sedia per l'esaltazione provocata da
Vessel. Consigliatissimi agli amanti del metallo oscuro, epico, meno immediato, intrigante, magico, malinconico... Saremo rimasti in pochi nel 2015 ad amare queste sonorità ma... chissenefotte!
Provare per credere.