Le categorizzazioni, si sa, lasciano il tempo che trovano.
Se limitiamo il campo d’indagine al nostro genere favorito, ci accorgiamo presto di quanto risibili siano i tentativi d’incastrare a forza ogni possibile ipotesi di sound in miriadi di generi e sotto-generi dalle definizioni spesso aleatorie.
Basti soffermarsi sui numerosi nomignoli che introducono un orizzonte temporale: il nu metal, ad esempio, già era immondo negli anni ‘90, e oggi quel “nuovo” non fa che aumentare la tristezza di una corrente ormai ingiallita e piena di polvere.
Ancora: che spinta al progresso può esservi nel riproporre sonorità con cui i
Gentle Giant si dilettavano oltre quarant’anni fa? È lecito, nel 2015, sostenere di guardare avanti attingendo a piene mani da album come
Aspera Hiems Symfonia (1996),
Neonism (1999) o
Into the Pandemonium (1987)?
Parimenti, non rinverrete granché di post(eriore) nella musica dei
Below the Sun; udirete semmai echi di ottime band come
Neurosis,
Isis,
Godflesh,
Cult of Luna,
Rosetta e
Sunn O))), mescolati a fughe shoegaze -questa definizione, lo ammetto, mi piace- e a sporadiche sfuriate death -ancor meglio-.
Nihil sub sole novum, come lo stesso moniker suggerisce; ciò non toglie che la compagine russa ci sappia fare.
Il quintetto da
Krasnoyarsk rivela grande abilità nel dipanare un’atmosfera nel contempo trascendente e cosmica, cheta ma ribollente di rabbia repressa. Chitarre sludge-doom distorte oltremisura (addirittura troppo sature in alcuni frangenti) ritraggono scenari oscuri, minacciosi, in cui la calma apparente dettata da retaggi drone viene screziata da vocals in growling -molto rade- e passaggi soffusi di matrice ambient -ben più frequenti-.
Noterete che, dopo aver lanciato un’invettiva contro definizioni e generi, ho finito per citarne una caterva; contraddizioni a parte,
Envoy non è certo un’opera semplice da descrivere. Senza dubbio necessita di qualche ascolto per entrate davvero sottopelle, ma saprà svelare ai più pazienti un fascino non comune e frammenti di eccellenza assoluta -
Cries of Dying Stars e
The Earth su tutti-.
Peccato che alcune fasi di eccessivo immobilismo -la porzione centrale di
Alone- o d'introspezione fine a se stessa -
Breath of Universe- finiscano per intaccare la resa complessiva... e il giudizio a margine.
I
Below the Sun si dimostrano comunque gruppo dall’indubbio potenziale: se sapranno sfrangiare le ridondanze, aumentare il calibro melodico e ridurre i momenti morti potranno senz’altro dire la loro.
Già che ci siete cambiate anche gli pseudonimi, suvvia.
Futuribili, al di là delle etichette.
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