Terzo disco per quelli che tanti anni fa si chiamavano Skywalker e proponevano, se non vado errato, sonorità più classiche rispetto all’odierno crossover/nu metal.
Il nuovo “Alter Ego” è un disco che, nonostante la band le provi tutte per tirare fuori il coniglio dal cilindro, suona molto ordinario. Ciò, nella mia visione delle cose, è un delitto, visto che le origini del genere che gli SKW decisero di abbracciare, sono connotate dalla voglia di destabilizzare la musica, contaminarla per creare qualcosa di eccitante. Qualità e caratteristiche che non ritrovo in questo disco, nonostante la band abbia reclutato un paio di guests interessanti quali Tommy Massara degli Extrema e Carlo Bellotti dei GF93.
Il disco parte con “Monday D.C.”, una song che cita tra gli altri i Mudvayne, almeno nel convulso avvio, prima di banalizzarsi con melodie zuccherose ed un riffing già sentito tre miliardi di volte in questi ultimi 10 anni. La successiva title-track annoia, prima partendo con patterns per certi versi inusuali, i quali forse hanno lo scopo di attirare l’attenzione dell’ascoltatore, ma subito torna in gioco il riffing di cui sopra a banalizzare il tutto. La produzione è buona, anche se un po’ cruda, con i suoni non saturati come succede di solito e un po’ scarni, ma ciò è un vantaggio nella mia visione delle cose. È solo alla terza song che si inizia a ragionare; “This Time” vede una donzella, Grace, duettare col singer Marco, ed anche il sound si fa in un certo qual modo “obliquo”, sottilmente teso, insinuante, prima di dirigersi in una direzione più sofferta e cattiva, cosa che fino a quel momento gli SKW avevano trascurato. Ecco uno dei punti deboli di questo disco, una certa mancanza di parti veramente cattive, con quelle poche parti più dure affogate in melodie che, nella loro pseudo-ricercatezza, fanno perdere di impatto al disco.
Man mano che si scorre il disco si passa per “Nu Song”, hardcore che graffia ma non troppo, e se non ci credete provate ad ascoltare “This Is It” dei Pulkas, anno 1998, che strutturalmente gli si avvicina. Altra tappa è “Under Control”, nella quale emerge un’altra pecca, la voce del singer che inizia a stancare, troppo monocorde e appiattita su quella di Phil Anselmo, ma la song in sé non lascia il segno, se si eccettua il sussulto finale, nel quale sembra che la musica voglia deragliare verso lidi meno consueti, ma è solo illusione, in quanto viene ripreso il tema principale.
“White Noise” inizia bene, siamo sempre sullo scontato, ma stavolta la band sembra prenderci, anche se arriva quasi subito la solita melodia a rovinare tutto. Sia chiaro che non è la melodia di per sé da condannare, ma l’uso che se ne fa. In questo disco la melodia non ha la funzione di accentuare le parti più dure e farle risaltare, ma ha proprio il compito di “immediocrire”, passatemi il termine, le composizioni, rendendole quasi “user friendly”. Questo è un dogma del crossover e se gli SKW al terzo disco non l’hanno ancora capito, siamo messi veramente male. “Digital Hate Remains” sembra volerci dimostrare il contrario, una bella citazione dei Pantera ci sta sempre bene, anche se rivisitata in chiave moderna, e non mi si scomodino i Machine Head, altro mood, altra categoria. Però finalmente si avverte un po’ di sano e cattivo groove.
“128” vede Tommy Massara autore di un assolo, il quale verrà dopo un inizio sofferto à la Korn, il patapatapum d’ordinanza e il riffing “saltelloso” alla “Justin”, sempre Korn anno 1998 da “Follow The Leader”. Tuttavia la song è impreziosita da alcune spoken words italiane, nelle quali sembra sia comparso lo spirito di Caparezza, il quale prelude al massiccio e, stavolta, veramente pesante finale.
La penultima song è praticamente una cover, “Smalltown Boy” è una hit degli anni ’80, la quale rivisitata, a detta della band, in chiave cyber metal, lascia tuttavia il tempo che trova. Certo non è “Blue Monday” degli Orgy, e anche l’uso di una terminologia, quale cyber metal, mi lascia perplesso. Il disco si chiude, stancamente, con “Leave Me Out” dove troviamo Carlo Bellotti; il pezzo è l’ulteriore conferma della sinfonia del “vorrei ma non posso” o del “vorrei ma non riesco”, con un pezzo che, seppure carino, è un’altra citazione di molte, troppe, cose che evito di elencare. Anzi una l’elenco, ed è il finale della song che cita certa oscura sofferenza dei GF93 di “Convulse All Star”, e non a caso direi.
In definitiva questo “Alter Ego” è un disco ampiamente trascurabile, troppo in bilico tra voglia di fare, puntualmente frustrata da un songwriting piatto, e clichè d’ogni genere che, gira che ti rigira, ci vengono propinati in tutte le salse, tutte più o meno insipide. Laddove poi la band cerca di osare con strutture meno ordinarie e più contaminate da un certo tipo di elettronica industriale, si nota il disagio e si finisce per essere una pallida copia di quanto buono fatto dai bolognesi Indhastria sul mini “Slop Noize”.
Non avevo in programma di fare una rece così lunga e, a mio modo di vedere, così dettagliata, con questa sorta di track by track, ma la necessità di non vedere, come al solito, la mia casella postale o il forum pieni di messaggi di minaccia, scherno e insulti, mi ha convinto che era meglio cercare di far capire, in maniera anche dura, che così non si va avanti. Questa, in caso non si fosse capito, è una stroncatura, ma non è assolutamente un piacere per me, soprattutto quando si tratta di una band italiana. Ho molto a cuore i ragazzi nostrani, e Carlo Bellotti potrà confermare, ma la sostanza è che, oggi come oggi, veramente nessuno ha bisogno di “Alter Ego”, anche se c'è da dire che il costo di questo lavoro è notevolmente più basso della media attuale, ovvero si attesta sui 10/12 euro, a seconda se venga acquistato via internet tramite il sito della Vacation House, ai concerti della band oppure nei negozi di dischi.
Spero di essere stato chiaro ed esauriente, poi il mio parere da solo certamente non fa opinione, ma contribuisce a formarla. Sta a voi prenderlo così com’è.