Otto anni di silenzio.
Un intervallo lunghissimo, soprattutto in un ambiente come quello del mercato discografico che consuma "nuove sensazioni" alla velocità della luce e riempie gli scaffali, virtuali e non, con decine e decine di prodotti.
Otto anni dunque dal precedente album con il rischio di essere dimenticati.
Ma ai
Dødheimsgard, ne sono sicuro, questa considerazione non importerà nulla: troppo particolari, troppo "avanti", troppo fuori da qualunque moda per perdersi in vili questioni commerciali.
"A Umbra Omega", rilasciato dalla Peaceville, è palese testimonianza, infatti, di quanto appena detto.
Un album di cinque brani, più una breve intro, per oltre un'ora di musica, un'ora di follia sonora durante la quale assistiamo alla completa destrutturazione della forma canzone, un'ora, lasciatemelo dire, di genialità allo stato puro.
Avantgarde.
Per una volta il termine, quasi sempre abusato, mi sembra perfettamente in linea con i contenuti del disco e, del resto, chi conosce il gruppo norvegese sa bene che la sperimentazione è il vessillo sotto il quale sono stati partoriti capolavori come
"Satanic Art" o l'immenso
"666 International", quasi vent'anni fa, e sa dunque bene che le traiettorie sonore dei Nostri sono realmente diverse da tutto e tutti.
Il nuovo lavoro, tenetelo bene in mente, va ancora oltre.
Esso è pura esperienza, prima ancora che semplice musica.
Una esperienza totalizzante, quasi imbarazzante per la meticolosità con la quale è stata concepita, una esperienza di fronte alla quale anche il semplice concetto di recensione perde il suo significato, dovendosi rassegnare alla certezza che con la parole sarà praticamente impossibile descrivere brani che, per loro natura, meriterebbero ognuno una recensione a parte.
"A Umbra Omega", che è la prima parte di un'opera ancora più vasta, è un lavoro nelle cui spire, oscure e fredde, convivono mondi e culture diverse: il violentissimo black metal emerge nelle brutali accelerazioni e nei riff devastanti del mastermind
Yusaf "Vicotnik" Parvez, lunghe soluzioni liquide di stampo jazz ci accompagnano in dimensioni parallele, la freddezza delle industrie dipinge il grigiore alle nostre spalle,
John Zorn e
Devil Doll vengono amalgamati con spaventosa maestria, il sax, le frequenti chitarre arpeggiate, le atmosfere rarefatte e quasi psichedeliche, il taglio da colonna sonora che vivrete nel buio che calerà su di voi... tutto racchiuso in una proposta disturbante, estrema in ogni suo anfratto, paurosa e schizofrenica nel suo inarrestabile incedere, tutto, come dicevo prima, racchiuso in una esperienza che, magnificamente, ci viene narrata dal rientrante
Aldrahn (co-fondatore del gruppo), un cantante inarrivabile che marchia a fuoco, con una prova teatrale e ricchissima di dettagli, ogni singolo passaggio.
"A Umbra Omega" NON è un album facile.
I
Dødheimsgard NON sono facili da capire.
Ma qui c'è tanta di quella cultura musicale, ci sono così tante idee messe insieme, che potrebbero bastare per una intera discografia e che ci forniscono lo spaccato di un gruppo grandissimo e, cosa non da poco, senza paragoni nell'estremo in musica o, se preferite, nella musica in genere a prescindere da quello che vi piace ascoltare.
A questo punto posso semplicemente consigliarvi di provare ad ascoltare l'album: forse non lo capirete, forse, semplicemente, non vi piacerà, forse sono io che mi sbaglio, ma, e non lo dico spesso, questo è un capolavoro.
E allora, otto anni di attesa diventano semplicemente la giusta preparazione per un evento straordinario, di quelli che ricorderemo a lungo... o almeno lo spero.
Bentornati.