Steve Rothery è un personaggio ben noto agli amanti del rock e del metal. Storico chitarrista dei Marillion e guitar hero di calibro internazionale arriva soltanto ora, dopo più di trent'anni di carriera, a pubblicare il primo disco solista con l'oramai famigerato programma di raccolta fondi del sito Kickstarter, che gli ha fruttato in poco tempo ben quindicimila sterline (arrivando nel finale a raccoglierne quasi sessantamila). Quest'ultima tecnica è stata sviluppata dagli stessi Marillion, che da diversi anni adoperano il crowfunding come metodo di realizzazione dei dischi.
Il nucleo principale di
"The Ghosts of Pripyat" è il classico stile prog rock proprio di Rothery, genere che risale al lontano 1985, ai tempi di Misplaced Childhood, quando il chitarrista ricevette dalla EMI una proposta di pubblicazione di un solo album, ma l'idea fu accantonata a causa di un forte disaccordo del resto della band. La scintilla che ha fatto nascere questo solo-debut è scattata nel 2013, nel momento in cui l'artista è stato invitato al festival chitarristico annuale di Plovdiv (Bulgaria). Da quella esibizione Rothery ha partorito diverse idee, poi sfociate in una writing session con l'amico e collega Dave Foster. Da segnalare la presenza di Steve Hackett in
"Morpheus" e
"The Old Man of the Sea" e di Steve Wilson.
Sette tracce compongono
"The Ghosts of Pripyat" per cinquantacinque minuti di durata. Si parte con la pinkfloydiana
"Morpheus", popolata da atmosfere rilassanti instaurate dalle tastiere e intriganti giochi di chitarre che troneggiano ed espongono ad una classe innata.
"Kendris" muta il sound del disco, richiamando quasi un country rock moderno e strizzando l'occhio a melodie orientaleggianti in un'accattivante insieme di elementi eterogenei. La lunga
"Old Man of the Sea" segue la linea stilistica tracciata dal primo brano puntando sempre su melodia e arrangiamenti avvolgenti, malinconici.
"White Pass" è la gemella della opening track, ricordando ancora una volta lo stile di Gilmour, ma anche di Pat Metheny, mentre nel finale si irrobustisce sfondando nel prog rock.
"Yesterday's Hero" mantiene invariata la struttura, partendo con un arpeggio acustico, lasciando poi spazio ai meditati assoli.
"Summer's End" è circondata da un'atmosfera tranquilla che esplode nel finale, momento nel quale Rothery esibisce tutta la propria tecnica. La conclusiva title-track riprende lo stesso motivo stilistico dell'album, da un arpeggio iniziale si passa ad un copione più marcato e rockeggiante, qui si fa notare la presenza dell'hammond a contribuire nell'irrobustimento del sound.
"The Ghosts of Pripyat" è un buon album strumentale, un disco a lungo atteso, di certo non è rivoluzionario, ma senza dubbio un ascolto godibile per gli amanti della chitarra e del prog rock.
"White Pass - Live in Plovdiv"
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