L’autunno dentro.
Nonostante stia scrivendo durante una di quelle domeniche primaverili in cui la gentile brezza ti lambisce la pelle, gli uccellini cinguettano tra rami che iniziano a popolarsi di foglie e il cane scorrazza per il giardino, mi sembra di esser ripiombato a fine ottobre.
Sia chiaro: non serbo rancore ai
Dead Summer Society, poiché naufragar m’è dolce in questo plumbeo mare tinto di nostalgia. Scampagnate in bici, passeggiate, aperitivi all’aperto e altre amenità “istituzionali” in caso di bel tempo possono attendere: prima il piacere.
E proprio un piacere si è rivelato l’ascolto di
…So Many Years of Longing…, secondo full lenght della one man band nostrana.
Fondete le sognanti atmosfere dei
Novembre, la riflessiva amarezza dei
Katatonia e la rabbiosa decadenza dei miei pupilli
Hanging Garden e vi sarete avvicinati al sound proposto; la commistione tra gothic, doom, dark, death e un pizzico di black modella un’opera oltremodo suggestiva, elaborata, profonda e attenta alla tessitura melodica, ottenuta talvolta grazie ad evocativi arpeggi, talaltra attraverso eteree eppur dolenti linee di tastiera.
Pur rimanendo
Mist la mente e il braccio del progetto, non mancano le collaborazioni: sono molti i vocalist, sia maschili che femminili, ad alternarsi dietro al microfono -cito,
ex multis,
Trismegisto dai
Cult of Vampyrism e
Annmari Thim dagli
Arcana-, il che conferisce ai brani coloriture cangianti (ma sempre su palette autunnali, ben s’intenda); oltre a ciò, segnalo con grande piacere la presenza del nostro baldo
Roberto Alfieri in veste di -ottimo- bassista.
La produzione compie il suo dovere: non ancora perfetta, eppur sa garantire all’opera un retrogusto deliziosamente nineties -l’epoca d’oro del gothic- e alle composizioni una veste molto più coesa, equilibrata e professionale di quella indossata in occasione del debut
Visions from a Thousand Lives.
Al di là di esecuzione strumentale e considerazioni tecniche, è il profilo emozionale a rendere la proposta dei
Dead Summer Society così attuale nella propria inattualità, così unica pur nell’assenza di autentici crismi di originalità, così personale nel rispecchiare l’anima del compositore e nel contempo universale nel raffigurare stati d’animo -solitudine, tristezza, malinconia- che ognuno di noi conosce fin troppo bene.
Forse lo sfoltimento di alcuni passaggi inclini all’ampollosità (da che pulpito…) ed un taglio del minutaggio complessivo avrebbero reso il platter ancor più accattivante; personalmente, poi, avrei tentato di accentuare il contrasto a livello di sonorità, irrobustendo la componente estrema ed innalzando i ritmi con maggior frequenza -come avviene, ad esempio, in
It Devours My Fate-.
Dettagli, comunque sia, che nulla tolgono alla crepuscolare bellezza di episodi come
Stalemate (la mia favorita),
A Winter day o
Some Peace to Feel.
Chi già teme l’incedere dei mesi estivi sappia che la musica contenuta in
…So Many Years of Longing... potrebbe rivelarsi preziosissimo alleato contro afa, sole, allegria di facciata e scellerati tormentoni radiofonici.
Caldamente (
lato sensu) consigliato.