Ci sono dischi di cui scopri la bellezza solo dopo un po’ di tempo, forse li devi ascoltare nel momento giusto della vita. E’ esattamente quello che è successo a me con Severance degli Irlandesi
Darkest Era. Possiedo il disco da ormai quasi un anno, sono usciti nella primavera del 2014 per Cruz del Sur, e subito sono rimasto affascinato dal loro heavy classico melodico, condito da forti componenti celtic/folk e un pizzico di doom/epic, ma non era scattata la vera scintilla, tipo quella con i greci Sacral Rage o i già recensiti Mausoleum Gate. E’ scattata dopo un’anno, riascoltando il disco mi sono reso conto della straordinaria qualità del quintetto di Belfast. Parliamo di Irlanda e nella musica dei Darkest Era si sente in pieno tutto il profumo e l’intensità del verde di quella straordinaria terra e anche della sua infinita malinconia, malinconia di cui è pervaso anche Severance, una malinconia che dà spessore alla loro proposta che guarda ai toni epici ma non lo fa come insegnano i Manowar, è più un’epicità interiore, dell’animo, una sorta di sofferenza che al cospetto delle asperità della vita diventa magnificenza. Come suonano i Darkest Era? Domanda molto difficile a cui rispondere, la loro proposta risulta originale seppur classicissima, l’unico rimando che mi è venuto subito in mente fin dal primo ascolto sono i conterranei Old Season, clamorosa band sconosciuta qui da noi ma con all’attivo due capolavori assoluti che prima o poi dovremmo riscoprire anche qui su Metalhammer, quindi una musica dell’anima, intensissima che usa la voce di Krum, pulita ma al tempo stesso maschia e selvaggia come un viatico, verso avventure perse nel tempo (The Serpent and the Shadow) o viaggi nella più profonda intimità di noi stessi (il capolavoro Beyond The Grey Veil). Anche l’uso delle chitarre aiuta la splendida catarsi, un suono massiccio ma dolce allo stesso tempo che ricorre molto spesso alla tecnica del “tremolo” per dare intensità a certi passaggi, un po’ come fanno molte band estreme. E poi c’è la sezione ritmica a completare il quadro che è sempre molto precisa e puntuale, con la batteria in grado di sottolineare con accelerazioni al limite del thrash le parti più aggressive del disco (Trapped in the Hourglass). Ma parliamoci chiaro, quello che colpisce dei Darkest Era è l’insieme, veramente clamoroso, come clamorose sono le eccezionali melodie che riescono a disegnare, subito memorizzabili ma assolutamente non scontate o banali e a questo riguardo quella che azzeccano nella conclusiva Blood, Sand and Stone, credetemi ha quasi del miracoloso, ti arriva diritta al cuore e lì rimarrà a vita se possedete un minimo di sensibilità.
Con questo disco, gli Irlandesi se vivessimo in un mondo perfetto sarebbero già miliardari e in vetta a tutte le classifiche mondiali, purtroppo non è cosi e forse saranno costretti ad un’eterna gavetta, il pubblico si accontenta di altro, noi invece che dalla musica cerchiamo qualcosa che come minimo ci faccia crescere e non ci intrattenga solamente, gioiamo di uscite come questo Severance e la speranza è che nel futuro la band ci regali ancora soddisfazioni a questi livelli. Nel sottobosco, nell’underground, c’è vita, ci sono band di talento che sanno scrivere bellissima musica, musica in grado di emozionare veramente e noi ci sappiamo accontentare di questo, in fondo cos’è il metal quello vero se non musica nata per essere sotterranea? I Darkest Era e lo dico chiaramente sono sicuramente tra le cinque band giovani più talentuose di tutto questo nuovo movimento.
Ora veniamo alla spinosa questione voto, che voto dare a questo disco? Vogliamo parlare di storicizzazione? Non possiamo infastidire i dischi che vengono considerati caposaldi della nostra musica? Parliamo di derivazione e non di originalità assoluta? Potremmo parlare di queste cose in eterno senza mai arrivare ad una conclusione. Allora ha ragione un mio amico (tu sai chi sei), quando dice che il voto è un optional, un’esercizio di stile una prassi obbligatoria e quello che darò a questo disco lo leggerete in calce. Ma come si può dare il voto a un emozione, come si può contabilizzare l’impatto che musica come questa può avere nella formazione di un’individuo? Non si può, ma se per forza si dovesse, il vostro caro Polimar non potrebbe dare meno del massimo a tutto questo.
A cura di Andrea “Polimar” Silvestri
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