Debutto per i californiani Bleed The Sky, ennesima scommessa metalcore in casa Nuclear Blast, la quale, ultimamente, si sta dedicando anima e corpo a questo filone musicale, rendendo noto così a tutti il nuovo trend imperante.
Siamo sempre dalle parti dello swedish sound ibridato con l’hardcore ed il nu metal, ma questi ragazzi hanno una peculiarità che vale a farli apprezzare certamente più delle ultime uscite in questo ambito. Sto parlando del fatto che in questo “Paradigm In Entropy” la bilancia pende decisamente dalla parte della componente più hardcore ed alternativa, e soprattutto dalla parte della violenza sonora. Infatti le dieci tracce del disco lasciano un ruolo marginale agli assoli classici e a certi patterns più metallici, ad esempio nel finale di “Minion”, e insistono in certa ferocia hardcore, tirata e disperata, sottolineata dagli screams del singer Noah Robinson, come ad esempio in “Skin Un Skin”, e con l’inserto, non invadente, di clean vocals e pattern ritmici più quadrati e cadenzati. Il tutto si giova di una produzione potente e pulita, tipicamente nu metal.
In certi frangenti assume rilievo persino l’elemento più alternativo della band, il manipolatore elettronico Puck, il quale rende “The Martyr” una song decisamente affascinante, arricchendola di trame sonore che fanno da sfondo al solito assalto della band. Assalto che trova forse il suo punto più alto in “God In The Frame” dove fanno capolino addirittura i Fear Factory per quanto riguarda il drumming ed i Meshuggah per il riffing. Esperimento ripreso, in maniera ancora più schizofrenica, grazie al ritmo sghembo e alle improvvise aperture melodiche, della track finale “Borrelia Mass”.
Quindi non difetta nemmeno certa melodia a questo disco, il quale si lascia piacevolmente apprezzare per la sua varietà e la sua capacità di saper garantire un ampio spettro di emozioni e sensazioni.
Gli ingredienti non suono nuovi, e forse nemmeno il modo in cui sono miscelati lo è, ma il modo in cui sono presentati li rende appetitosi, soprattutto se serviti da sei ragazzi che sanno usare i propri strumenti e sanno soprattutto scrivere canzoni.
Decisamente un disco buono di una band da tenere d’occhio.
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