CHE. DUE. PALLE.
Ecco il risultato al centesimo ascolto di "
Haven", nuova fatica discografica dei miei (un tempo tantissimo, ora molto meno) amati
Kamelot, che l'unico centro della loro carriera recente l'hanno fatto prendendo a bordo un cantante-fenomeno come
Tommy Karevik, e che lo usano come chi va all'Ipercoop con la Porsche.
Questo album ve lo eviscero per settori:
Songwriting: 4 - Cioé, puoi davvero fare 54 minuti di canzoni una uguale all'altra? Non un guizzo, non una struttura ritmica un filo diversa, tutto va dal mid-tempo al martellato con le solite orchestrazioni e i soliti riffoni, un lento dimenticabilissimo nel mezzo (e mi spiace tanto, dato che c'era l'altra mia amata, Charlotte Wessels dei Delain), qualche growl che fa tanto "satanaaaaaa" (ma per piacere!)...
Lyrics: 3 - La fiera del luogo comune. Il
twilight metal splende più fulgido che mai, tra un "non ci lasceremo mai", un "guarda oltre la morte e mi troverai lì", con un sapore di gotico finto che all'ascoltatore scafato fa rizzare i peli sulle braccia.
Esecuzione: 6 - Standard. I Kamelot ormai fanno lo stesso disco da eoni, e anche questo non tradisce la minima aspettativa. I musicisti sono bravi, e MAI si azzardano ad uscire dal seminato, ben conoscendo i propri limiti e la fame di pappardella goticizzata della sua fan base.
Tommy Karevik: 9 - Che voce. Che putenza. Ma lo scoprirete solo cercando il 5% di VERA interpretazione in mezzo al restante 95% di "oh, mi raccomando, falla tipo Khan, eh? Ti paghiamo apposta..." Tommy abbozza, sorride, si lega una corda vocale dietro la schiena e butta lì il compito come il capo ha ordinato. Ma c'è moooolto di più....
Artwork: 8 - Il solito packaging più che curato, con la solita, scontatissima, tematica amore-morte-corvi-spiriti-figaggine.
Il resto, come al solito, sta alle orecchie di chi ascolta, ma i miei amatissimi Kamelot sono ahimé in una spirale di auto-plagio impressionante.
"
Haven": il Big Mac del metal. I'm NOT lovin' it.