Gli Undead sono cinque misteriosi individui che dalle foto promozionali si presentano paludati coi cenci lisi della Grande Livellatrice. Di essi non si conoscono né la provenienza, né le loro vere identità, anche se si “sospetta” che siano cinque veterani della scena.
L’unica certezza che abbiamo è che amano suonare death metal e che amano officiare i riti del Metallo Morto alla vecchia maniera floridiana.
Anche attraverso un ascolto distratto, si intuiscono due cose: la prima è che il quintetto sa gestire strutture e tematiche del genere con consumata abilità, la seconda è che con ogni probabilità hanno il santino di Chuck Shuldiner nel portafogli.
Infatti lo spirito di quel capolavoro che riporta il nome di “Leprosy” scorre potente in “False prophecies” in maniera quasi ossessiva; una passionale dedica che nasce dall’opener “Unborn” e prosegue ininterrotta fino a “Emerging from the depths”.
Se tutto questo non è ancora riuscito a stuzzicare il vostro interesse, aggiungo che il cantato mi ha riportato alla mente quello malato ed inconfondibile di Martin Van Drunen di “Consuming impulse” (N.d.r.: anche quest’album del 1989 rientra nella categoria dei capolavori imprescindibili del Death Metal…se non lo avete provvedete seduta stante!), in un mix molto intrigante.
Qualche difetto però compare se si riascolta “False prophecies” con attenzione. Gli Undead hanno la tendenza ad essere ridondanti, ripetendo più volte lo stesso schema compositivo, con conseguente aumento della durata complessiva.
Rimane la curiosità di capire come si evolverà il progetto Undead, perché non si può sempre campare giocando la carta dell’effetto nostalgia. Senza l’inserimento di qualcosa di personale, rimarrà solo un bellissimo esercizio di stile.
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