Spiace sempre veder sparire una band, anche quando si tratta di nomi non certo fondamentali per la scena heavy, ed anche quando da tale scioglimento si generano altre formazioni che magari potranno ottenere risultati ancora migliori. E’ il caso degli Shepherd, i quali stando alle note informative hanno concluso la loro corsa all’indomani dell’uscita di questo “The coldest day”. Tutto sommato è un peccato, perché l’album mostrava alcuni chiari segnali di progresso rispetto al precedente “Laments”, già recensito su Eutk nel 2003.
Un notevole contributo in senso positivo lo ha portato Wino Weinrich, il maestro del doom contemporaneo che ha sempre mostrato grande affetto e stima per il quartetto di Berlino. Il mitico Scott infatti ispira e partecipa personalmente a ben tre brani e la sua magica chitarra consente a questi episodi di passare ad un livello di qualità superiore (in particolare “Sunday” alla quale presta anche l’inconfondibile voce..), ma i miglioramenti degli Shepherd hanno comunque un’ampiezza più generale.
Il songwriting si sviluppa in modo assai più flessibile di prima, ed è quasi del tutto scomparsa quella monotonia appunto “lamentosa” che caratterizzava il disco d’esordio. Parliamo sempre di un doom palesemente ricalcato dal classicismo degli Obsessed o delle ultime creature di Wino come Spirit Caravan o The Hidden Hand, ma l’attitudine è buona e sfilano validi momenti di cupa e graffiante rabbia come nell’iniziale e lugubre “Monday” (sì, ogni traccia corrisponde ad un giorno della settimana..) e nei lunghi percorsi sulfurei di “Thursday” o “Saturday”, dove ricche porzioni solistiche donano respiro ed energia alle tradizionali atmosfere ossianiche.
Niente di fuori dall’ordinario, volendo anche essere pignoli l’ottava traccia “Doomsday”, un gorgo di distorsioni ed urla disperate, è poco più di un inutile riempitivo con l’aggravante del solito trucchetto dei lunghi minuti di silenzio prima della ghost-track (il che spiega l’ingannatoria durata complessiva), ma nell’insieme la prestazione è dignitosa e tranquillamente nella media del settore.
Quasi certamente gli Shepherd non sarebbero mai diventati dei protagonisti di prima linea, ma ci lasciano ugualmente con un lavoro discreto che merita un’eventuale ascolto. Ora attendiamo di sentire il nuovo progetto Cockhammer del vocalist Andreas Kohl, tra l’altro proprietario della Exile on Mainstream, e quello del resto della band che dovrebbe chiamarsi Android Empire.
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