Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2005
Durata:38 min.
Etichetta:Massacre
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. LIVING ON THE EDGE
  2. ALL ALONG THE EVERGLADES
  3. THE RITUAL OF TRUTH
  4. FOLLOW ME
  5. IF IT WASN'T FOR YOU
  6. THE DAY THE EARTH DIED
  7. THE CONQUEROR
  8. HEAVEN IN YOU
  9. BACK IN TIME
  10. DIE HARD

Line up

  • Apollo: lead vocals
  • Jordi Sandalinas: guitars
  • Victor Casado: guitars
  • Daniel Moilanen: drums
  • Fran Duarte: bass

Voto medio utenti

Sandalinas non è un nuovo tipo di stravaganti calzature, ma bensì il cognome di un chitarrista spagnolo (che di nome fa Jordi), diventato anche il monicker per il suo esordio musicale.
Le note biografiche parlano di progetto ispano/svedese con la componente scandinava rappresentata dal drummer Daniel Moilanen (Runemagick, Notre Dame) e dal singer Apollo (Papathanasio, il che fa nascere qualche dubbio sulla sua completa “nordicità” - già noto per il suo lavoro con Time Requiem, Medusa e Faith Taboo) entrambi presentati al guitar hero da Andy La Roque (King Diamond), il quale, ascoltate le composizioni di Jordi, se n’entusiasma al punto da decidere anche di produrre (con lo stesso Sandalinas) l’album e di suonare come ospite in “All along the Everglades” e “If it wasn’t for you”.
Completano lo schieramento iberico il bassista Fran Duarte e l’altra chitarra Victor Casado.
“Living on the edge” è il risultato di questa collaborazione e si tratta di un buon disco in cui convivono classic hard rock, heavy metal melodico ed epico (nella vena di Rainbow, Iron Maiden e dei Black Sabbath meno ossianici), un pizzico di power e influssi dell’approccio class & melody di Dokken e Ten.
Sandalinas si dimostra un ottimo musicista, bravo a non abbandonarsi a paranoie egocentriche, preferendo l’efficacia delle canzoni alle proprie urgenze virtuosistiche, oltre che rivelarsi come un valido e duttile songwriter e il vocalist Apollo asseconda molto bene questa versatilità riuscendo ad evidenziare tutte le qualità del suo “strumento”, sia quando è necessario dare prova d’essere screamer di razza, sia quando deve ammorbidire il suo timbro nei frangenti più melodici (sulle piste dei maestri Joe Lynn Turner, David Coverdale e Bruce Dickinson, fino a Jeff Scott Soto e Jorn Lande).
L’incedere della title-track, un classico hard’n’heavy anthem scolpito dal riff possente e dal drumming incalzante, funge da scenario alle virili corde vocali di Apollo, autore di una performance di grande spessore, il quale si ripete in “All along the Everglades”, dal mood sempre molto “fisico” e un po’ maideniano, sostenuto da un bel tappeto tastieristico e contraddistinto da un notevole solo di Sandalinas.
La potenza e la melodia che s’intrecciano in “The ritual of truth”, dalle percussioni impetuose, chitarre serrate, abbinate al refrain aggressivo e la cadenzata e plumbea “Follow me” con le sue tastiere solenni, offrono un'altra possibilità alla coppia Sandalinas/Papathanasio di dare sfogo alle loro doti, con quest'ultimo che, nella seconda traccia, può ricordare un po’ l’enfasi di un Tony Martin e talvolta anche vagamente (e curiosamente) gli itinerari di Layne Stanley (?!?).
“If it wasn’t for you” è un singolare episodio che mescola andamento power e attitudine quasi class metal ed è già arrivato il momento dell’immancabile brano lento, “The day the Earth died”, risolto con classe dalla band, grazie ad un piacevole supporto pianistico ed alla solita ispirata laringe dello svedese.
I fans del power-metal gradiranno misurarsi con la fast-track “The conqueror”, ma, probabilmente, faranno più fatica a “digerire” “Heaven in you” un’altra ballata (con accenni di Whitesnake) impostata sulla chitarra acustica e sulle capacità interpretative di Apollo: non male, ma si può fare di meglio.
In effetti, il meglio torna con “Back in time”, una vibrante song di hard-rock ipervitaminico, rievocante ancora il Serpente Bianco o l’Arcobaleno più famosi dell’universo metallico e con una sorprendente “Die hard”, dove le influenze di rock melodico si liberano in modo compiuto, svelando il versante più easy dei Sandalinas, con esiti abbastanza convincenti: pianoforte, organo e chitarre elettro-acustiche si accompagnano a textures canore corali e vaporose e linea melodica piuttosto stuzzicante.
Si tratta di un disco che, quasi a voler confermare il suo profetico titolo, vive continuamente “sul filo” (ma “dubito” che volessero riferirsi all’aspetto che sto per descrivere): da una parte una comoda e gradevole “mediocrità superiore” e dall’altra alcune intuizioni che potrebbero consentire il salto di qualità.
Cercherò di spiegarmi meglio … i Sandalinas sono una formazione davvero valente, con individualità negli effettivi e una discreta capacità nel rappresentare le vestigia di un genere musicale molto amato, il problema è che con tutti i “ritorni” più o meno eccellenti e il proliferare di progetti paralleli o all-star bands piene di personaggi illustri (non sempre all’altezza della loro fama, ma di sicuro molto allettanti per i potenziali acquirenti), ritengo sia indispensabile, soprattutto per una band “esordiente”, lavorare ancora di più sulla ricerca di una peculiarità, una scintilla compositiva che vada oltre il “semplice compitino” anche se svolto con diligenza e rigore stilistico.
Bisogna cercare, insomma, un qualcosa che possa contrastare efficacemente l’attrazione “fatale” ed inevitabile che un gruppo di “glorie” (vecchie o nuove che siano) ben assortite è in grado di garantire.
Il combo in questione, con modesti tentativi di personalizzazione del proprio suono, sviluppati su fondamenta molto solide, dimostra di essere sulla strada giusta, ma non ha centrato ancora del tutto l’obiettivo.
Al momento è “solo” un’altra band (piuttosto) buona che affolla la discografia e anche se il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa importante, per ora non si va oltre una valutazione ampiamente positiva, ma ancora lontana dall’eccellenza.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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