Giovanissimi, i
The Vintage Caravan si sono messi in luce partecipando ad importanti festival come il Roadburn, presentandosi accompagnati dai genitori perchè ancora minorenni. Il loro aspetto imberbe ed il fatto di vivere in una terra iperborea come l’Islanda, ha aumentato la curiosità nei confronti di questa retrò-band, che suona come fossimo ancora negli anni ’70.
Ascoltate un pezzo come “Monolith” ed avrete la sensazione di qualcosa ripescato dalla notte dei tempi e riarrangiato in forma moderna. Evitiamo le solite diatribe pro e anti vintage-rock e diciamo la verità: funziona. Il loro terzo disco è piacevole, denso, infarcito di buone idee e guarnito con una certa dose di freschezza. Cosa chiedere di più a dei ventenni? (
li ho avuti anch’io, un tempo…nda).
L’anthemica e martellante “Babylon” così come l’orecchiabile “Shaken beliefs”, (ispirata allo stile dei primi Spiritual Beggars, influenza piuttosto marcata della band islandese), rappresentano il volto più aggressivo del trio. Invece “Eclipsed” e “Innerverse” hanno linee morbide e riflessive, una sorta di psichedelia nordica che ci porta ad immaginare boschi innevati e cattedrali di ghiaccio, mostrando una maturità di scrittura per certi versi sorprendente.
Il pezzo più ambizioso è la conclusiva “Winter queen”: una cavalcata rock invernale dai confini aperti e dall’atmosfera epica, con grande spazio al solismo chitarristico di Oskar Logi. Brano di buon respiro, dai toni raffinati ed evocativi.
Un disco che conferma le buone impressioni del precedente. Questi tre ragazzi stanno crescendo e, pur non rappresentando particolare novità, possono ben figurare nella scena neo-vintage internazionale.
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