Un titolo che oltre ad essere massima filosofica e poetica sintetizza l’idea racchiusa nel musica di un disco, il secondo, come questo presentato dai Will Haven.
Carpire l’attimo per cogliere il frammento staccatosi dal monolito rock in cui scolpire note spigolose ma ricche di calore, come un abbraccio, come la lava. L’abbraccio del “dark noise-core” di deftoniana fomazione (Chino Moreno è un loro fan, i Will Haven lo sono di più dei Deftones, senza dubbio), il vulcano che erutta Breach, Youth Of Today tracciando un filo rosso sangue con l’hardcore più estremo.
Preso come blocco unico il disco funziona, non ci sono pause creative e la tensione emotiva viene mantenuta al giusto livello in virtù di una foga da invasati costruita su chitarre che incidono l’anima come sottili lame per preparare la lacerazione del cantato di Grady Avenell, che rispetto al suo più famoso estimatore, manca di fantasia e si impegna più che altro ad urlare in modi non umani: non oso pensare come possa ritrovare la sua gola alla fine di un concerto.
Sezionato il disco non mostra episodi eclatanti, manca forse il pezzo memorabile, anche se la conclusiva “Moving to Montana” si inchioda fissa nel cervello grazie ad un giro di basso ossessivo come il peggiori degli incubi ricorrenti, seguita da una strumentale pianistica malinconica e piuttosto inusuale.
Non siamo di fronte a dei mostri ma questa è gente che si sa far ascoltare; alzando la voce, ovviamente.
Ps. Ma si può intitolare una canzone “Dolph Lundgren”??
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