Leggi la biografia di
Emiliano Valente,
mastermind di questi R
u Fus, e ti rendi immediatamente conto di quanto sia vivace la sua urgenza espressiva (Zen Circus, The Bugz, Reverberati, sono solo i passi più significativi di un’attività artistica piuttosto frenetica …).
Ascolti “Ru Fus” e capisci quanto sia ancora radicata la passione per il
grunge e per il
noise in questi tre preparati e ispirati musicisti, quasi come se ci si trovasse ancora a ridosso degli anni novanta, e il cosiddetto “hard rock moderno” fosse ancora uno straordinario e viscerale fenomeno musicale di “rottura” e non l’ennesimo mezzo per soddisfare l’atavica avidità dell’industria discografica
mainstream.
Se avete vissuto quel periodo, e ricordate bene l’impatto splendidamente “destabilizzante” legato alla comparsa sulla scena di gruppi come Green River, Melvins, Tad, Skin Yard e poi ancora,
ebbene sì, Nirvana, Alice In Chains, Soundgarden e Screaming Trees, potrete facilmente ritrovare le stesse sensazioni in questo possente dischetto, dalle atmosfere spesso cupe e tragiche, ma allo stesso tempo caratterizzato da strutture melodiche insinuanti e magnetiche.
D’altro canto, però, quell’epopea è ormai consegnata alla “storia” e da un gruppo “contemporaneo” come questo sarebbe logico aspettarsi un briciolo di maggiore “caratterizzazione” … e quindi, come la mettiamo?
L’unica cosa che posso dire è che se il rischio era di cedere alla tentazione di emulare qualcuno dei tanti protagonisti fotocopia del “radio-rock” attuale,
beh, allora forse è preferibile una sentita celebrazione dei maestri, catturati nel loro momento più viscerale e autentico.
Pilotato dalla voce di Giacomo Bracaloni (Seventh Day … un interessante
crossover timbrico tra Stanley, Cobain e Lanegan …), l’albo si snoda attraverso un percorso armonico piuttosto “familiare” eppure talmente ricco di
pathos da cancellare quasi del tutto lo spiacevole effetto
déjà entendu e rendere il quadro complessivo efficace e assolutamente godibile.
“Fader up & down”, “Little clown”, “Joker” e “Dead set” sono spaccati di un suono duro, pesante, doloroso, che anche quando si affida a soluzioni leggermente più “accattivanti” non scade mai nella pura oleografia.
Le scorie
stoner di “Radiation” (con appena un pizzico del primo Danzig solista nell’impasto sonoro) e la poderosa rievocazione
Sabbathiana offerta in “Outside now” si scontrano con le suggestioni
rootsy di “People as people” e "Like coldest winter”, e mentre i detriti
psych di “Fragments of asteroid” fluttuano nell’apparato
cardio-uditivo e lo sollecitano con forza, tocca poi alla mutevole e inquieta litania
Nirvanesca “Never machine” e alla livida ballata “Season” piazzare il colpo “definitivo” proprio al centro dei sensi.
Con “Ru Fus” Emiliano e i suoi sodali ci ricordano che raramente il “cattivo” è identificabile in un intero genere musicale e che semmai l’unica cosa veramente da osteggiare è la cattiva musica.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?