Ahab - The Boats of the Glen Carrig

Copertina 8

Info

Anno di uscita:2015
Durata:56 min.
Etichetta:Napalm Records

Tracklist

  1. THE ISLE
  2. THE THING THAT MADE SEARCH
  3. LIKE READ FOAM (THE STORM)
  4. THE WEEDMEN
  5. TO MOURN JOB

Line up

  • Stephan Wandernoth: bass
  • Daniel Droste: vocals, guitars, keyboards
  • Chris R. Hector: guitars
  • Corny Althammer: drums

Voto medio utenti

"The Boats of the Glen Carrig", quarto album degli Ahab arrivati a festeggiare i dieci anni di attività, è un disco che farà discutere.
Non tanto per il presunto "ammorbidimento" del quale mi è capitato di leggere in giro, del resto cinque brani per quasi un'ora di musica non sono certamente un buon viatico verso la commercializzazione, quanto, piuttosto, per una cesura abbastanza evidente rispetto al passato.
Chi ha amato i primi capitoli del gruppo tedesco rimarrà deluso.
Questo va chiarito immediatamente.
Il pesantissimo, lentissimo, devastante funeral doom metal che caratterizzava "The Call of the Wretched Sea" o, in misura minore, "The Divinity of Oceans", è un ricordo sbiadito, così come lo sono le atmosfere magniloquenti ed emozionali del precedente "The Giant".
Gli Ahab hanno scelto una via nuova per esprimere il loro disagio e la vena doomish che, in ogni caso, resta essenziale nel loro suono.
"The Boats of the Glen Carrig", questa volta ispirato alla omonima novella horror di William Hope Hodgson pubblicata nel 1907, mantiene il tipico approccio "nautico", sia visuale (la copertina è meravigliosa) che sonoro, marchio di fabbrica degli Ahab, mi si dipana attraverso partiture sludge molto evidenti, lunghi momenti psichedelici delicati ed estranianti, senza rinunciare, tuttavia, ad una durissima matrice death metal che esplode, letteralmente, nei lancinanti riff di chitarra che accompagnano ogni brano alternandosi con i frequenti arpeggi e facendo da tappeto alla multiforme prova vocale di Daniel Droste, assoluto protagonista dell'album.
Mai come in questa occasione, infatti, il biondo singer era stato così ispirato e così determinante nelle sorti di un disco imprimendo ad ogni singola traccia il suo preciso trademark attraverso il solito growl profondissimo (e splendido) o con una stentorea e triste voce pulita mai, fino ad ora, usata con tanto gusto e sentimento che si alterna ai momenti distorti stemperandoli e trasportando l'ascoltare verso la quiete dopo la tempesta.
Insomma, come il mare, anche la voce è in costante mutamento.

E lo sono anche i brani. Ovviamente.
"Like Read Foam (The Storm)" è il pezzo che ha anticipato l'album, ed anche il più lontano dai canoni Ahab.
A mio avviso anche il più debole, sebbene il ritornello epico sia magistrale.
Troppo sludge, troppo veloce, forse troppo derivativo.
Subito dopo, però, il quartetto piazza "The Weedmen", quindici minuti di funeral come ai vecchi tempi: lento, ossessivo, emozionante, sinceramente angosciante, praticamente un capolavoro che da solo giustifica l'acquisto dell'intero album.
Poi gli altri pezzi, in continua alternanza secondo gli stilemi che ho descritto sopra.
Doom epico, death, melodia questa volta ispirata agli Anathema, psichedelia orrorifica (ascoltate bene la parte finale della annichilente "The Thing That Made Search"), il tutto amalgamato alla perfezione e senza alcun momento forzato o in cacofonico stridore con il precedente.
Gli Ahab hanno dunque osato molto scrivendo un disco assolutamente non facile da ascoltare, un disco che avanza, inesorabile, come la lava che dalle pendici di un vulcano termini la sua "corsa" nelle acque del mare tra gorgoglii e accecanti sbuffi di vapore, un disco che va ascoltato e riascoltato decine di volte per essere apprezzato ed infine capito.
Chi avrà pazienza, dunque, scoprirà l'ennesima perla di un gruppo che, per quanto mi riguarda, non ha ancora sbagliato un colpo sebbene, lo sottolineo di nuovo, questa volta abbia davvero azzardato moltissimo con la conseguenza che in molti resteranno delusi da "The Boats of the Glen Carrig".
Tra quei molti, tuttavia, non ci sono io.
Disco splendido e preludio, credo, ad una nuova fase della carriera di un gruppo diventato imprescindibile.
Recensione a cura di Beppe 'dopecity' Caldarone

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 30 ago 2015 alle 15:37

Tra quei molti non ci sono neppure io. Gli Ahab non mi deludono mai, disco intenso ed ispirato, bellissimo.

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