Un sodalizio che risale ai tempi della cult band Brats (autrice di un misconosciuto Lp intitolato “1980”) quello tra Hank Shermann e Michael Denner e che si è perpetrato negli evocativi ed esoterici Mercyful Fate (la partnership compositiva di Shermann con l’anima “maledetta” del Re Diamante ha dato origine a due dischi fondamentali per la storia del metal, quali il mini album che porta il nome del gruppo e lo spettacolare “Melissa”, per chi scrive i “veri” ed unici capolavori dei Mercyful, senza dimenticare l’ottimo “Don’t break the oath”, bello ma non all’altezza dei suoi predecessori, mentre considero trascurabili i dischi successivi frutto della – temporanea?- reunion), nei Fate (Michael ha partecipato in veste di special guest al primo omonimo platter della band), fino ad arrivare a questi Force Of Evil, giunti con questo “Black empire” alla seconda prova discografica (dopo l’omonimo debutto del 2004; al loro attivo ricordiamo anche il DVD “Evil comes alive”).
Le connessioni tra la formazione in questione e la “Mercyful family” non si limitano alle due asce già citate, ma si estendono al drummer Bjarne T. Holme, anche lui già batterista per i Fate e in alcune incarnazioni degli stessi Mercyful Fate (più alcune collaborazioni, di minore “risonanza”, in progetti comuni alle citate twin guitars) e al bassista Hal Patino, proveniente dalla line-up di supporto al King Diamond solista.
A completare il tutto il vocalist Martin Steene degli speed-power metallers Iron Fire.
Alla luce di queste “convergenze” non sorprende, dunque, che La Forza Del Male appaia posseduta, anche dal punto di vista musicale, dal tenebroso culto del Fato Misericordioso e dal maleficio celebrato dal suo storico singer nelle esibizioni in solitaria, ma nel rituale si deve essere inserito, in qualche modo, anche il Sacerdote Di Giuda, che si manifesta come un importante “maestro” per i nostri danesi, assieme a qualche demone dalla genesi più moderna.
I Judas Priest (e molti dei loro “seguaci”, penso, per esempio, a Sanctuary o Metal Church) sembrano, in effetti, un riferimento rilevante per il sound dei Force Of Evil, sia nella loro versione “originaria”, sia e direi, soprattutto, in quella più recente (a partire da “Painkiller”). Tecnicamente la formazione scandinava è ineccepibile (e visti i trascorsi avrebbe stupito il contrario), lo stesso Steene si disimpegna abilmente in manifestazioni di trasformismo vocale, tra falsetti da “Principe della notte”, acuti di spessore, interpretazioni di maggiore intensità emotiva e accenni più aggressivi (compare addirittura qualche sporadico growling), l’alone plumbeo e cupo (in parallelo alle accelerazioni di matrice speed-metal) che il gruppo vuole conferire al proprio sound, ispirato, a quanto pare, a films horror quali “The Omen”, “Amityville horror” o “Friday the 13th”, sebbene non sia esattamente una scelta originale, è sempre piuttosto intrigante, l’impatto sonoro del disco, garantito dal mixaggio di un “certo” Neil Kernon (un uomo che non ringrazierò mai abbastanza per quanto fatto con i Dokken o con gli inarrivabili Queensryche, una band che sembra aver influenzato, a livello d’atmosfera, alcune porzioni di “Days of Damien”, vagamente affini, senza peraltro avvicinarne la magnificenza, al masterpiece “Suite Sister Mary”) è assolutamente adeguato ed efficace; quello che manca, a mio parere, è la presenza di canzoni di valore veramente superiore, di un songwriting realmente illuminato, che possa fare la differenza all’interno di un ambito stilistico molto noto e far dimenticare alcune conformità piuttosto marcate.
“Black empire” risulta essere così un dischetto ottimamente suonato ma eccessivamente di maniera, che raramente riesce a dimostrarsi all’altezza del pedigree dei suoi protagonisti e ciò accade, tutto sommato, nell’epic-doom di “Death comes crawling” e “Disciples of the King”, nella coinvolgente “The sinister show”, nelle suggestioni death-thrash di “Dead in Texas” o nel guitar work impetuoso di “Vorhees revenge”: un po’ troppo poco se scorriamo il curriculum dei musicisti coinvolti … è chiaro che da questi nomi (soprattutto da Mr. Shermann) è lecito attendersi molto di più e non si può neanche appellarsi alle incertezze magari legate ad un’opera prima … un lavoro decoroso ma un po’ troppo “tiepido” perché il “maligno”, abituato a ben altre temperature, possa esserne impressionato più di tanto o dimostrarsene particolarmente fiero.