Ci sono cascata di nuovo: mi capitano tra le mani questi
The Oxford Coma (non provate a cercarli su Google perché tanto troverete solo risultati correlati alla ben più famosa regola della
Oxford Comma), che si presentano come “metal psichedelico con forti influenze progressive”, e vado in brodo di giuggiole. Che proposta esotica e allettante! Mi faccio mille castelli in aria su quanto mi piaceranno e sulle belle parole che ci spenderò e invece nisba.
Molto spazio alle parti strumentali, qualche riff da porno d'epoca, poca voce e per di più distorta: questi sono i The Oxford Coma. Mi ci vogliono tre ascolti di “
Paris Is Mine” per capire come trovare la sua componente psichedelica: non so quanti di voi abbiano letto “
La casa degli spiriti” di
Isabel Allende – se non l'avete fatto, fatelo: è bellissimo. A un certo punto viene fuori un personaggio che è un po' contadino e un po' sciamano, capace di salvare le provviste del villaggio dalle formiche e pure di cavare i denti senza fare male. Come? Mandando il paziente in trance a suon di vino e padre nostro. Forse è per questo che non ho subito l'effetto psicotropo dell'album durante l'ascolto: la nenia anestetica c'era ma io ero sobria (purtroppo). Se mi fossi scolata un paio di bicchieri forse avrei avuto un parere diverso ma ormai il danno è bello che fatto. Non nego che ci sia qualche passaggio interessante, come pure l'angoscia à la “
Pasto Nudo” di
Burroughs, ma non basta.
Ricordatevi di questo album se vi salta un'otturazione e portatevi dietro una bella bottiglia di Montepulciano; altri motivi per acquistarlo, sinceramente, non ne trovo.
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