Ricordo che quando uscì “… And the dead shall rise” furono in parecchi, in un’epoca di scarsissima informazione “metallica” (eravamo nel 1986 …), a chiedersi se il verbo mefitico e conturbante dei Death SS fosse arrivato fino in Texas e avesse influenzato piuttosto pesantemente questi
horrorosi Ripper.
Le affinità iconografiche e, in parte, musicali (gli americani ostentavano anche influssi evidenti di primi Judas, Mercyful Fate e persino Manowar, ascoltare “Wake the dead” per referenze …) consentivano di “sospettare”, e con una certa fondatezza, una meritata ammirazione nei confronti dei maestri del
dark-sound pesaresi, la cui perniciosa aura artistica, caso anomalo per i tempi, si era effettivamente spinta fino alle sponde del
Nuovo Mondo.
A distanza di un trentennio, la presenza di Steve Sylvester (limitata a un
cameo nella
cover di “Sabbath bloody sabbath” – alquanto riuscita, peraltro - ma a quanto sembra il suo contributo avrebbe dovuto essere ben più ampio) nel terzo albo della
band, fornisce una verosimile soluzione definitiva del “mistero” e ci riconsegna una formazione (ritornata all’attività nel 2005, e artefice di un albo nel 2009 dal titolo “The dead have rizen”) abbastanza diversa dai suoi esordi, negli effettivi e nelle sonorità.
Smessi i travestimenti Hammer-
iani (anche se a me hanno sempre dato l’impressione di una versione oleografica, tipicamente
yankee, di quell’immaginario … ben lontana da quella realmente inquietante dei primi Death SS …) i Ripper di “Third witness”, pur confermando in sostanza l’assetto stilistico e ispirativo, anche sulla spinta della Black Widow (come dichiara Rob Graves, unico membro storico e attuale
leader degli
Squartatori, nel
booklet dell’opera), sacrificano un pizzico del loro tipico approccio tranciante e viscerale sull'altare di un suono maggiormente progressivo e “raffinato”, per un risultato di sicuro intrigante e tuttavia, forse, anche leggermente "normalizzante".
In questo modo, complice anche la voce “educata” di Rus Gib (alla fine fin troppo lineare, sebbene ostenti, sulle frequenze basse, un timbro discretamente fascinoso, vagamente rievocante i toni morbosi di un Rob Halford), è probabilmente andato smarrito qualcosa in fatto di primordiale temperamento (a tratti, ad esempio, si possono scorgere bagliori dell’
epic-doom di certi Candlemass … non un “difetto”, intendiamoci, eppure una situazione espressiva un pochino avulsa dall’attitudine del gruppo), un esile detrimento che comunque non evita a “Dead dreams”, “Fragrant Earth”, “Morphinia”, “Into the realm” e “Cryptonight” di rappresentare validissimi ed efficaci agglomerati di note tetre e oscure, capaci di ammaliare senza indugi gli estimatori del genere.
Come si potrà facilmente intuire, preferivo (anche per questioni squisitamente “affettive” …) i “vecchi”, più istintivi e magari pure un po’ primitivi, Ripper … attendo, però, con fiducia, attenzione e simpatia ulteriori sviluppi dal loro comunque interessante “nuovo corso” …
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