"Sorrow" parte subito aggressiva, infatti, più che tristezza, su un substrato
priestiano lascia germogliare una bella dose d’incazzatura, soprattutto nel pestare da parte di Tyler Meahl. Non che le chitarre di Blake Meahl e di Eli Santana si tirino indietro quando c'è da dare qualche spallata al pezzo, e su tutti si staglia il cantato affilato, talvolta quasi isterico, per quanto maggiormente controllato rispetto al passato, da parte di Jill Janus,
deus ex machina degli
Huntress, una formazione che con il tempo la bionda vocalist statunitense si è cucita addosso per dare continuità al proprio cammino musicale, proiettandolo su sonorità tipicamente Heavy Metal e con un contesto lirico che spesso spazia, con grazia e senza eccessi, tra il pagano e l'occulto.
Superati i seri problemi di salute che ha dovuto affrontare, Jill Janus si ripresenta al timone degli Huntress e alle prese del loro terzo album, "Static", che dopo quell'inizio sì energico ma un po' scontato sulle note della già citata "Sorrow" e subito a ruota di "Flesh", fa un bel salto di qualità prima con "Brian", una inconsueta power ballad ruvida e vagamente inquietante, quindi con la vivace "I Want to Wanna Wake Up". Dopo una manciata di episodi non particolarmente brillanti (trai quali una "Mania" invero noiosa), si incappa in un altro momento avvincente in occasione di "Harsh Times on Planet Stoked" (dalle venature
eighties) poi, per assaporare qualche altro sussulto tocca dover aspettare sino alla riottosa "Fire in My Heart", a chiudere un album che nel suo complesso non mostra chissà quali progressi rispetto al precedente "Starbound Beast". Anzi… magari pure qualche passo indietro.
You want it all, but you can't
read it
It's in your face, but you can't
read it
What is it? It's it
What is it? ... it's the
review
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