Nell’anno in cui il doom metal, e in particolare il funeral doom, è ritornato in auge, con le nuove uscite, tra gli altri, di
Skepticism,
Shape Of Despair e
Worship, ecco il ritorno anche dei
Tyranny.
A 10 anni dall’unico full-lenght pubblicato, quel clamoroso “
Tides Of Awakening”, capace di mantenere le promesse dell’altrettanto clamoroso ep “
Bleak Vistae”, il trono del funeral doom metal di marca lovecraftiana ha di nuovo il suo re tiranno.
La mancanza dei
Tyranny, in tutti questi anni, è stata solamente sopita dai
Solemn They Await, gli unici capaci di avvicinarsi al sound della band di
Matti Makela.
Ciò detto, il nuovo “
Aeons In Tectonic Interment” è un disco che si inserisce nel solco della tradizione, sperimentata e collaudata, dei finlandesi.
Tutto ciò che ha a che fare con i
Tyranny richiama il concetto di Tempo, inteso come elemento che non solo trascende le umane possibilità di comprensione, ma soprattutto inteso come elemento immutabile, senza un inizio e senza una fine, talmente grande che ogni cosa al suo confronto sparisce e diventa caduca, effimera.
Ma il Tempo è anche un elemento terribile, che atterrisce, schiaccia, che esala antichità.
Il lento pulsare delle ere, l’angoscia di un’agonia senza fine, il terrore che si annida negli anfratti delle viscere della terra, diventa tutto un incubo sonoro che prende forma in canzoni come “
Sunless Deluge”, le quali, in un lento stillicidio di note e basse vibrazioni, rilasciano esalazioni mefitiche, dipingendo consueti panorami di desolazione e lutto.
La struttura dei pezzi è spesso obbligata e le ritmiche pachidermiche e lentissime sono interrotte solo da crepuscolari assoli di chitarra o nuance ambient nelle quali l’atmosfera diventa catacombale grazie alle tastiere e ai sussurri di Matti. C’è da dire che in “
A Voice Given Unto Ruin” dopo un break nel quale fanno la compara cori simil-monastici si assiste a una decisa accelerazione del sound a metà canzone, che ci porta verso lidi death doom, prima di tornare negli abissi della lentezza.
“
Preparation Of A Vessel” è la canzone più breve mai composta dai
Tyranny, dura solo circa 7 minuti e mezzo, ma è profonda, brutale, crushing direbbero gli inglesi. Davvero impressionante.
“
The Stygian Enclave” tiene fede al suo nome, il richiamo al fiume infernale, nel quale le anime dei dannati ribollono, è azzeccato e ci presenta l’ennesimo monolite di disperazione e lutto.
La conclusiva “
Bells Of The Black Basilica” è il degno epitaffio di questo disco, viene accentuata la componente orrorifica, le campane rintoccano in maniera cupa e tetra, l’abominio della desolazione raggiunge il suo apice, il cielo cade giù e viene inghiottito dalla terra, fino al conclusivo silenzio quando, per citare
Edgar Allan Poe:
“L’Oscurità, la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su tutto”
Non c’è progresso nella musica dei
Tyranny, nessuna novità o innovazione (anche se personalmente avverto un’impercettibile accelerazione del sound), o li si ama o li odia, non cercate di farveli piacere, ne ricavereste solo angoscia e frustrazione. Il voto è puramente indicativo.