Ci fu in periodo in cui il pomp rock negli States risultava una vera avanguardia. Nato sulla sponda del rock sinfonico inglese, le bands yankees avevano trovato una formula riveduta e corretta, inoculando diversi spunti pop da classifica e sgravando così gli opulenti suoni seventies che, dopo la rivolta punk, per alcuni risultavano anacronistici.
E sicuramente i
Kansas del primo periodo rappresentavano la punta di diamante, insieme agli
Styx, di questo nuovo movimento, fomentato anche da una miriade di piccole cult band, alcune già presentate su questa rubrica.
La band proviene da Topeka e cominciarono come un sestetto, lanciato da
Don Kirshner, discografico e produttore televisivo e soprattutto sulla base di albums fenomenali come
Song For America,
Leftoverture e
Point Of No Return che rappresentarono l'apice espressivo della prima parte della band.
Prima parte perché poi i Kansas dell'era Elefante alla voce erano sicuramente più incentrati sull'aor tipico, con netti tagli delle parti di violino ad esempio, per un sound più nuovo e conveniente per i nuovi adepti anni '80, di cui questo
Power, che vide il rientro dopo l'esperienza Streets di
Steve Walsh, ne è la naturale prosecuzione.
I nuovi Kansas insomma hanno appreso appieno la lezione dei
Journey di
Escape e secondo i loro parametri ne interpretano le gesta sulla scia di quei suoni, niente più musica barocca ma una musica più nuova incentrata sul l'atmospheric power, sempre sorretta però da un impasto hardeggiante con la cultura riff oriented.
Power è il disco senza il principale compositore, ovvero
Kerry Livgren, ed è l'album che vede l'ingresso del nuovo chitarrista
Steve Morse.
Silhouettes in Disguise batte subito forte, con un riff circolare immettendo subito la band in territori hard rock, da notare il coro che potrebbe essere adottato anche in ambiti power/happy metal per via del suo ritmo scanzonato.
Mentre la title track ripristina le coordinate intraprese con la precedente esperienza degli Streets, con un coro in crescendo irresistibile.
All I Want è il singolo prescelto, una power ballad dal fascino irresistibile che si colloca tra i grandi dell'aor, leggi Journey o
Foreigner.
Secret Service possiede arrangiamenti nuovi di zecca per l'epoca, con qualche reminiscenza dei fantastici
Dixie Drags.
We're Not Alone Anymore è la fast killer song dell'album, sorretta da un drumming possente ed ancora le chitarre inventive di uno Steve Morse in forma smagliante, mentre
Musicatto è il ripristino in chiave moderna del suono barocco originale dei Kansas, quasi un omaggio al glorioso passato.
Tomb 19 è un altro episodio levigato di aor, con uno dei refrain meglio riusciti del platter, in sapore Survivor. Chiude
Can't Cry Anymore,, altra ballad superiore della band che suggella un album stranamente poco considerato nella discografia dei Kansas, ma a ben vedere si tratta dell'ennesimo classico.