Recensire un’opera di
Paul Chain non è mai “un’impresa” facile. Il rischio, con artisti così imprevedibili, eclettici e interessati a soddisfare innanzi tutto la loro insaziabile “fame” creativa, è di trasformare la disamina in una sorta di “volo pindarico emozionale” (una cosa che adoro peraltro …), forse non troppo utile al lettore che cerca appigli in qualche modo “oggettivi” per indirizzare i propri ascolti.
Francamente, però, non credo ci siano altri modi per descrivere, in particolare, questo imponente “
Violet art of improvisation” che il maestro pesarese licenziò nel 1989 per la
Minotauro Records e che oggi la stessa storica etichetta lombarda ristampa in una suggestiva e curatissima veste grafica.
Un doppio album, contenente registrazioni realizzate in maniera artigianale e completamente improvvisate, risalenti a un periodo compreso tra il 1981 e il 1986, che è quasi impossibile da “imbrigliare” con le parole, talmente intenso da stupire ancora una volta anche chi era già avvezzo alle manifestazioni artistiche di una mente fervida e sempre alla ricerca di nuove prospettive.
E allora, alla luce dei suddetti presupposti, avvisato il lettore di ciò che lo aspetta, diciamo che i cento minuti del
Cd possono essere vissuti contemporaneamente alla stregua di un “viaggio cerebrale" e di un
happening “rituale”, in cui riferimenti e suggestioni si dilatano e si distorcono, aprendosi a perlustrazioni emotive cangianti e prepotenti in un crogiolo di sensazioni veramente caleidoscopico.
Suddiviso in due porzioni, distinte anche dal punto di vista temporale, “
Violet art of improvisation” propone una prima parte (concepita e realizzata fra l’81 e l’84) caratterizzata dal prezioso contributo esecutivo di
Claud Galley e
Thomas Hand Chaste (storici collaboratori del nostro, fin dai tempi dei Death SS), impegnati in una vorticosa
jam session (segnalazione speciale per la
suite ipnotica ed esorcistica denominata “
Tetri teschi in luce viola”, un autentico turbamento in note) in grado di evocare le effigi soniche di Goblin, Black Sabbath, Can, Magma e King Crimson, esplorate e trasfigurate attraverso l’irrequieta personalità di un personaggio in continua evoluzione, anche quando palesa il versante maggiormente “fisico” della sua arte così lisergica e immaginifica.
Il secondo dischetto (contenente materiale del 1986), invece, accentua la componente spirituale, liturgica e cosmica del suono e nutrendosi avidamente di traiettorie
space-prog, ispirazioni
kraut-rock e derive
post-punk, indirizza agli estimatori di Tangerine Dream, Pink Floyd, Jacula e Bauhaus un flusso imperioso di emozioni fatte di misticismo occulto e di melodie estatiche e algide (dalla conturbante “
Old way”, alle delizie bucoliche di “
Celtic rain”, passando per la voce ieratica di
Gilas, il gran cerimoniere della magnetica “
Dedicated to Jesus”, un tassello davvero importante di questo labirintico mosaico espressivo), in una livida e visionaria spedizione oltre i confini dei generi.
Inclusa nella riedizione (così come nella sua versione originale) troviamo inoltre l’ultima intervista rilasciata dal celebre e insospettabile (un “bravo ragazzo” capace di trasformarsi in efferato carnefice)
serial-killer Ted Bundy prima dell’esecuzione sulla sedia elettrica … un invito a riflettere sulla potenziale pericolosità esercitata dei
mass-media e sull’imperscrutabile complessità della psicologia umana, temi tuttora di pressante attualità.
Mutuando il pensiero dello stesso
Chain, estrapolato da alcune sue dichiarazioni dell’epoca, “
Violet art of improvisation” […] n
on è un disco semplice da apprezzare e ci vorrà tempo per farlo e anche per disprezzarlo […]. Sono passati venticinque anni abbondanti di musica e di vita da allora e la questione, in sostanza, non è mutata … valutatelo o rivalutatelo con l’attenzione che merita.