E’ sempre più difficile “inventare” qualcosa nell’ambito del
rock n’ roll. Si può tranquillamente affermare che negli anni sono state sfruttate intensivamente pressoché tutte le possibili risorse e percorsi quasi tutti i plausibili “incroci” per rinnovare il genere, garantendogli evoluzione e “sopravvivenza”.
Fermo restando che un approccio “classico” alla materia per tante ragioni non morirà mai, il tentativo di svincolarsi da tutte le forme di
cliché (anche quelli apparentemente più “avventurosi”) è comunque encomiabile, cercando di produrre qualcosa di “nuovo” anche solo insinuandosi con sagacia tra le pieghe delle varie tipologie sonore, accostandole e facendole confluire in modo imprevedibile, mantenendo intatta quella godibilità
cardio-uditiva eterna e suprema giudice di ogni esibizione musicale.
Ebbene, i
Sunrunner riescono in un’impresa molto difficile e “scabrosa”, sorprendono e attraggono, dimostrando una cultura non comune e una spiccata fantasia in un
songwriting impossibile da “ingabbiare” in contesti precisamente definiti.
Il gruppo, svaria con disinvoltura dal
prog, al
metal, al
jazz, al
folk e all’
hard-rock settantiano, e lo fa attraverso composizioni che utilizzano la “naturalezza” come arma primaria, vantando una notevole piacevolezza d’ascolto anche quando l’astante appare leggermente “disorientato” da così tante suggestioni stilistiche.
Immaginare una
jam session tra Iron Maiden, Rush, Black Sabbath, Jethro Tull, High Tide, Blind Guardian, Psychotic Waltz e Skyclad, il tutto sotto la supervisione di un Frank Zappa, potrebbe “aiutare” a comprendere il contenuto di “
Heliodromus”, ma è anche chiaro che descrivere in maniera esauriente, seppur con l’ausilio di comparazioni o metafore, le variegate sfumature dell’opera non è una soluzione agevolmente percorribile.
E allora diciamo che con un pizzico di superiore equilibrio e con l’abolizione di qualche piccola sbavatura espressiva (l’enfasi un po’ pacchiana di “
The plummet” e “
Technology's luster”, contrassegnata però, quest’ultima, da singolari allusioni Danzig-
esche …) la raccolta mi avrebbe consentito di esplodere in manifestazioni d’irrefrenabile entusiasmo, mentre allo stato attuale sono “costretto” a contenermi e magari rimandare tali ostentazioni a un prossimo futuro.
Ciò non toglie che gli americani siano fin da ora diventati per il sottoscritto una delle “scoperte” maggiormente interessanti dei tempi recenti, che il loro lavoro brilli di una luce piuttosto intensa e che la caliginosa ed elegiaca “
Corax”, la liquida “
The horizon speaks”, la vagamente Voivod-
iana “
Star messenger” e ancora l’ipnotica “
Passage” e la lunga e cangiante
title-track (con tanto di fugace omaggio alla lingua di Dante) siano elaborazioni soniche animate da un
quid creativo di livello superiore, capace di proiettarle nell’empireo dell’inaspettato e dell’emozionante.
Tanti complimenti ai
Sunrunner e alla
Minotauro Records, ormai da parecchio tempo una garanzia di competenza e di acume anche nell'imprescindibile attività di
scouting …
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