Siano dannati ‘sti dischetti che escono a fine anno, giungendo così alle mie orecchie fuori tempo massimo.
Per cosa?
Beh, per venir inseriti nella mia prestigiosissima (?) poll!
Peccato: come già avvenuto per “
Grief”, splendido e misconosciuto full lenght dei
Germ rilasciato a novembre 2013, la mia top ten si vede depauperata di un dischetto di assoluto valore. Dischetto che può venir considerato, a sommesso parere del sottoscritto, come il miglior album metal partorito dal Belpaese nel corso del 2015.
Non intendo affatto celare il debole che da tempo nutro per il combo genovese, senza contare che “
abysmal” è forse l’aggettivo inglese che preferisco assieme a “
lackluster” (che in realtà è un vocabolo americano: in UK si scrive “
lacklustre”, e mi piace molto meno).
Eppure, gusti personali e turbe lessicali a parte, non mi ero approcciato al nuovo “
Strange Rites of Evil” con eccessivo ottimismo. Ero infatti convinto che il precedente, magnifico “
Feretri”, costituisse il picco artistico della
Tremenda Afflizione, cui sarebbe seguito un inevitabile declino compositivo.
Invece nulla di tutto ciò, in barba alle mie previsioni da quattro soldi. Anzi: il nuovo lavoro dei Nostri riesce addirittura a superare il predecessore, alzando ulteriormente l’asticella qualitativa di un gruppo in stato di grazia.
È bastata l’opener “
Nomen Omen” a sciogliere ogni riserva: il brano, perfetto nella propria semplicità strutturale, brilla (si fa per dire) grazie all'apporto di
Labes C. Necrothytus, capace di colorare (si fa sempre per dire) il riffing ossessivo di
Regen Graves con contrappunti organistici che si riveleranno una delle note più liete dell’intera tracklist.
E che dire del suo approccio canoro? Ancor più macabre e teatrali rispetto al passato, le vocals forniscono davvero alle composizioni una marcia in più in termini di personalità.
Prova inconfutabile ne siano la
title-track, che si dipana lungo le medesime, fosche direttrici, pur arrivando a lambire territori prossimi al
funeral doom, e
Cemetery, nel cui peccaminoso incedere echeggiano vagiti del
dark italico più torbido -oltre ai noti
Malombra e
Jacula odo anche rimandi ai miei amatissimi
Cultus Sanguine, ve li ricordate?-.
Davvero esemplare la cover di
Child of Darkness dei
Bedemon, sia in termini di originalità del ripescaggio (per farla breve: discettiamo di una cult band in cui, negli anni ’70, militarono
Bobby Liebling ed altri musicisti a vario titolo riconducibili ai
Pentagram) che di gusto nella rilettura. Resa meno grezza rispetto all’originale -non ci voleva granché, in effetti- ed accentuata la componente orrorifica per merito del lavoro di cesello delle keyboards, la nuova versione si fa apprezzare senza se e senza ma.
Impossibile, poi, soprassedere sulla monumentale suite “
Dressed in Black Cloaks”, tredici minuti e tredici secondi (durata casuale?) di processione funebre verso i meandri più insondabili dell’Abisso, con una coda di rara -ed inattesa- ferocia a far calare il sipario su “
Strange Rites of Evil” nel migliore dei modi.
Perché dunque, a fronte di cotanto entusiasmo, “solamente” un 8 in pagella?
Presto detto: “
Radix Malorum”, seppur inattaccabile di per sé, suona come una “
Nomen Omen Pt. 2”, e ciò, in una scaletta di appena sei brani, costituisce pecca non indifferente. Ancora: personalmente avrei gradito maggior incisività da parte della sezione ritmica (sotto questo profilo “
Feretri” garantiva forse qualcosa in più, anche per scelte di produzione). Da ultimo: la coerenza compositiva e l’omogeneità stilistica del platter potrebbero venir interpretate come ripetitività da alcuni.
Quisquilie, in ogni caso: gli
Abysmal Grief, per quanto mi riguarda, si confermano esponenti di élite del
doom più sepolcrale e autentico punto di riferimento dell’undeground tricolore.
Siete caldamente pregati di supportare.