All'alba del nuovo millennio si era in piena era Nu Metal e la verve creativa d'oltreoceano sembrava un'onda inarrestabile, con un continuo fiorire di band che hanno tirato fuori dischi incredibili.
Alcune di queste sono diventate parte integrante della storia della musica che amiamo, altre invece sono state semplice meteore, brillanti per un attimo e poi dissoltesi, per un motivo o per un altro (ricordate i britannici
Pulkas?).
A quest'ultima categoria possiamo ben annoverare i
The Deadlights, quartetto californiano di Long Beach. La band prendeva il nome addirittura da “
It” del maestro
Stephen King, e con il debutto omonimo salì subito alla ribalta musicale, cosa che gli procurò un ingaggio per l'
Ozzfest del 2000, sul palco con band del calibro di
Pantera,
Soulfly,
Disturbed e
Static X.
La band, pur non potendosi fregiare di chissà quale innovatività, pur tuttavia miscelava una serie di elementi che li rendevano appetibili. Accanto al groove urbano fatto di rabbia e chitarroni ribassati, condito di ritmica tentacolare e dinamica, affiancavano un alone oscuro, dark, anche nella scelta delle melodie che, soprattutto grazie alla voce del singer
Duke, li avvicinavano a una versione metal e incazzata dei Placebo.
Il disco, omonimo, è un susseguirsi di pezzi veloci e potenti ad altri dove emerge una vena melodica e riflessiva notevole, anche grazie ai testi fatti di rabbia, disperazione e pervasi da un senso di rivalsa.
Alle esplosioni disumane di “
Junk” e “
Time” fanno da contraltare pezzi più user friendly come “
Sweet Oblivion” e “
Foolish Pride”, divenuti anche abbastanza popolari all'epoca, grazie ai passaggi radiofonici.
L'ascolto del disco è appagante e i primi 5 pezzi sono semplicemente eccezionali, la band infilando una perla dietro l'altra, anche se mi piace citare un pezzo come "
Pox Eclipse" che mi sembra uno dei più rappresentativi.
Il disco ha poche cadute di tono, mantenendo una tensione costante, dura ed affilata, e che va a chiudere con “
Falling Down”, quasi un presagio, visto che di lì a poco la band si scioglierà, e i ragazzi prenderanno strade diverse. Tra questi, il bassista
Jerry Montano entrerà a far parte dei
Nothingface, mentre il cantante
Duke lo rivedremo nei
Droid, prima di morire nel marzo del 2015 per problemi legati alla droga. Mi piace ricordarlo mentre, in “
Bitter”, urla:
“I'll keep my distance inside myself
I'll never ask for any bodies help
You never knew the price we'd have to pay
But you will never forget my face
You can never forget my face
No not ever
You can never forget my face”
Non ho dimenticato le vostre brutte facce, e questo è il mio sincero tributo a una band validissima che merita di essere ricordata.
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