“Salve, siamo quelli della Century Media e vogliamo farvi fare un viaggio tra gli anni ’90 e i primi anni del nuovo millennio. Vi ricordate quando abbiamo creato quell’etichetta sussidiaria e l’abbiamo chiamata, con molta fantasia, Century Black? O quando il nostro gruppo di punta erano i Lacuna Coil? Ecco, fondete un po’ le due cose e avrete i qui presenti Oceans of Slumber”.Nome onirico per il gruppo proveniente da Houston, Texas, che sceglie “
Winter” come titolo per il primo album prodotto sotto un’etichetta d’importanza mondiale, dopo un primo EP autoprodotto a nome “Aetherial”. Come faccio spesso per i gruppi che non conosco, tendo a recuperarmi la discografia precedente al disco che devo recensire, ascoltandola di filata così da farmi un’idea almeno di massima dell’evoluzione stilistica della band. Non vi nego che ascoltare “Aetherial” nella sua totalità è stata una vera faticaccia, dovuta soprattutto alla pesantezza dei suoni e alla dubbia bontà della voce di Ronnie Allen, eccessivamente pasticciata e sguaiata per risultare apprezzabile.
Con un po’ di paura mi approccio quindi a “Winter”..e mi si apre un mondo. Prima di tutto vengo a sapere che gli onori e gli oneri del microfono sono stati affidati alla bella
Cammie Gilbert, bella ma soprattutto brava. Bravissima. Splendida. Una voce davvero meravigliosa, ricca di sfumature, che non cerca di assomigliare a nessuno ma si crea fin dai primi minuti una propria identità fatta di momenti altamente emozionali intervallati a episodi più duri.
Ed è proprio la voce della Gilbert ad essere il motore portante dell’album, un album che senza la sua presenza sarebbe solo leggermente migliore del precedente, ma che con la voce di Cammie assurge a una bellezza sinistra, spesso incomprensibile, ma dannatamente affascinante.
E’ innegabile che il disco non è di facile fruizione, soprattutto data la durata che sfiora di poco l’ora, non permettendo un semplice ascolto continuo. Come detto in apertura, abbiamo alcune atmosfere dei primi Lacuna Coil, ma soprattutto una base gothic/doom scandinava preponderante, che a tratti sfocia addirittura nel black. Il problema più grosso del disco è che saltuariamente manca la coesione tra i brani, a volte addirittura all’interno dello stesso brano, una mancanza di amalgama che può risultare fastidiosa.
Gli
Oceans of Slumber sono senza dubbio una band interessante, figlia ribelle di un panorama che tende sempre più ad uniformarsi in fatto di female-fronted band. Grazie soprattutto ad una voce clamorosa e a un ritorno a sonorità passate, i texani riescono a piazzare il colpo, ma hanno ancora bisogno di limare diverse sbavature e trovare un’identità prima di potersi dire definitivamente realizzati. Se siete curiosi..“
Winter” is coming.
Quoth the Raven, Nevermore..
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