I genovesi Meganoidi sono alle prese con una profonda mutazione stilistica, già avviata negli ultimi lavori. Dopo aver ottenuto buona fama rielaborando influenze ska ed atmosfere vivide e luminose, improvvisamente il gruppo ha sterzato verso territori di sperimentazione e cerebralità, verso un sound che intende esplorare il lato oscuro del rock.
Questo “And then we met impero” è un ep di cinque brani articolato come una colonna sonora, ed appare fin da subito un prodotto ostico, spigoloso, immerso in una tenebra ipnotica e minacciosa, basata soprattutto sul gioco dei contrasti, sull’avvicendarsi di baratri intimisti ed imponenti rilievi deflagranti.
I liguri hanno usato ogni arma a loro disposizione per alimentare la sensazione di una struttura densa ed opprimente, un’impervia montagna che si staglia all’orizzonte offrendo pochi appigli alla scalata. Dalle liquide rarefazioni psichedeliche alla compatta esplosività metal, dalla soffice emozionalità al cieco furore, dall’urlo al sussurro, perfino l’incrociarsi della lingua inglese ed italiana, è tutto un rincorrersi di variazioni scenografiche legate tra loro da un paio di solide costanti: la soffocante atmosfera notturna e nostalgica e l’uso catalizzatore di una magnifica, drammatica, tromba che nel delirio finale pare eccheggiare lo struggimento del “deguello”, riportando il discorso sui binari cinematografici.
Confesso di avere scarsa dimestichezza con i Meganoidi del passato, quindi sono da escludersi tanto i raffronti con il vecchio corso quanto le speculazioni sull’impatto che il nuovo avrà sui fans della prima ora. Comunque ciò che vediamo oggi è una formazione che viaggia a passo spedito in una direzione di complessità rock che potrebbe essere quella di Neurosis, Isis, Pelican, o magari mutare ancora percorso verso chissà quali lidi, spinta dall’insaziabile curiosità di conoscere i propri limiti.
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