Quando un gruppo si prende dal lustro in su per far uscire un album, le cose son due: o zero idee o la voglia di creare un capolavoro. Spesso riuscendoci. Se la band in questione è al secondo disco in carriera, direi che possiamo escludere la prima opzione e passare direttamente alla seconda, con il risultato di ritrovarci per le mani non un capolavoro, ma quasi.
Gli
Scar of the Sun, dopo l’esordio col botto di “A Series of Unfortunate Concurrencies” datato 2011, si prendono 5 anni esatti per realizzare questo nuovo “
In Flood”, un album che raccoglie la pesante eredità del suo predecessore e catapulta gli ellenici nel gotha del metal mondiale, divisione gothic/doom. Ve lo dico subito, senza troppi preamboli, così i più lazzaroni di voi possono passare direttamente a comprarsi un disco che vi regalerà soddisfazioni multiple ad ogni ascolto.
L’inizio è pesantemente targato Paradise Lost, la band che più influenza il sound dei greci, checché se ne dica. “
Among Waters and Giants” è una piccola perla di quel gothic a tinte oscure portato in auge dalla band inglese e il vocalist
Terry Nikas tende in più di un’occasione ad assomigliare a Nick Holmes, sia in questo brano che in più passaggi all’interno dell’album. Un’opener azzeccatissima, che ci proietta in un mondo dalle atmosfere pesanti e lugubri senza permetterci di acclimatarci.
Va detto che se i Paradise Lost sono l’impronta chiara, gli Scar of the Sun su quest’impronta ci hanno costruito uno stile proprio, influenzato e figlio del metal più moderno, in particolare con accezioni al limite del –core, con i Trivium come richiamo più pesante soprattutto in alcuni brani, su tutti “
Enemies of Reason” e la title-track “
In Flood”, sia nelle linee vocali sia in alcuni riff.
La cosa che più salta all’occhio, o meglio all’orecchio, del sound degli ellenici è però l’estrema maturità che dimostrano, nonostante questo sia solo il secondo disco in carriera. Un songwriting maturo, figlio del tempo e della dedizione, che non si limita a copiare ma prende spunto e reinventa, non rinchiudendosi all’interno delle costrizioni di genere ma espandendo la propria anima a contaminazioni differenti, a volte spiazzanti, molto spesso azzeccate e intriganti. Un connubio praticamente perfetto tra il gothic dei primi anni ’90 e il metal più moderno, senza tralasciare episodi più emozionali quali la splendida “
Sand”, connubio testimoniato dalla cover di “
Walking in My Shoes” dei Depeche Mode, intelligentemente resa propria, senza snaturarla eccessivamente ma accomodandola ai propri voleri in maniera sottile e educata.
La già citata “
In Flood” chiude degnamente un disco eccellente, con il suo mix di furia e malinconia, anche qui in un intreccio tra moderno e “storico” da far rabbrividire. Nella mia versione trova spazio anche una ghost track, “
The Ghost Peril”, che traspone in musica il dramma dell’11 Settembre, grazie a intermezzi parlati capaci da soli di mettere i brividi, col pensiero che ritorna a quel primo pomeriggio di 15 anni fa.
“
In Flood” è un album magnetico, che trascende dalle etichette e dai generi, così ricco di influenze da risultare unico e imprevedibilmente nuovo. 5 anni di sforzi e lavoro che, come anticipato in apertura, portano gli
Scar of the Sun sulla cima dell’ideale monte raffigurato nella cover, assieme alle altre divinità del “settore”. Assolutamente imprescindibile.
Quoth the Raven, Nevermore..
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