I
Behexen sono sicuramente una delle migliori espressioni black metal provenienti dalla Terra dei Mille Laghi.
“Rituale satanum” e
“By the blessing of satan”, rispettivamente del 2000 e del 2004, ci mostrarono una band nichilista e iconoclasta capace di suonare a ritmi elevatissimi ma con pochissime variazioni di stile. La svolta vera è del 2008 con l’uscita di
“My soul for his glory”, in cui il combo finnico decide di introdurre rallentamenti nel proprio songwriting optando per un approccio decisamente più religious complice anche l’abbandono, da parte del singer
Torog, di uno screaming “latrato” per tonalità cavernose ma molto più comprensibili. Un lavoro che, nonostante qualche ridondanza, risultò una scommessa vinta e l’inizio di una nuova fase musicale. Quasi obbligatori furono i confronti con i norvegesi
Watain, per chi scrive la realtà più ingombrante del panorama black dell’ultimo decennio, accostamenti che i più continuarono anche con il successivo
“Nightside emotions”, a mio parere un ottimo ed oscuro lavoro in cui vede i Nostri affinare la proposta precedente.
Arriviamo così a percorrere questo
sentiero velenoso, album che già dal primo ascolto risulta maturo, ben curato (N.d.r.: la versione limitata in doppio vinile vale tutti i soldi che ho speso) e ottimamente prodotto e mixato fra i Fantom Studios e i Necromorbus studio.
I
Behexen riescono ad esser convincenti sia quando danno spazio a ritmiche forsennate (v. la titletrack), sia quando decidono di tenere ritmi più cadenzati (v.
”Sword of promethean fire”) riuscendo a coniugare efficacemente i blast beat forsennati così come gli arpeggi dissonanti (v.
”Cave of the dark dreams”).
Altro punto di forza dell’album è la tensione che non viene a calare durante il passare dei minuti, giocando anche a quella sensazione di “teatrallità” tipica del black di stampo religioso che ormai i
Behexen padroneggiano con consumata abilità.
La conclusiva
“Rakkaudesta Saatanaan” è probabilmente la canzone-manifesto di
“The poisonous path”: il suo incedere apocalittico, le sue chitarre dissonanti, il riffing drammatico, l’utilizzo di cori inquietanti, trasmettono fedelmente l’idea dell’esecuzione di chissà quale perverso rituale maligno che sfocia poi in una convulsa e liberatoria cavalcata finale.
Probabilmente la critica che più colpirà la band sarà quella di aver abbandonato la primigena caoticità in favore di un sound meno finnico e più norvegese, ma a parer mio questa apertura ha permesso ai
Behexen di esprimere pienamente tutte le loro potenzialità. Che poi abbiano perso lo status di culto è tutto da dimostrare.