Mentre scrivevo questa recensione è accaduta una cosa assai negativa del corso della mia vita. Ho quindi dovuto interrompere il tutto e solo adesso, dopo una settimana, torno a concluderla. In tutta questa storia, la cosa brutta è che adesso questo disco dei Node, per tutta la mia esistenza, sarà sempre legato a questa dolorosa faccenda. Ancor peggiore il fatto che sia un ottimo disco, chissà se riuscirò mai ad ascoltarlo slegandolo dai ricordi. Ricominciamo…
Accingendomi alla recensione di “
Cowards Empire” dei
Node mi sono apprestato come sempre ad aggiornare la scheda relativa al gruppo meneghino ed appena giunto sulla relativa pagina scorgo, come ultimo lavoro, “
In the end, everything is a gag”… E che disco è??? Primo pensiero. Caspita, del 2010, completamente rimosso. Apro la recensione, e vedo che è a nome mio…
Silenzio imbarazzante. Non c’è che dire, un disco che mi è davvero entrato dentro. Talmente dentro che quando sono andato a rimetterlo su per prepararmi al meglio per la recensione del nuovo mi sono ricordato tutto insieme come mai non mi aveva convinto: un sound moderncoregroovoso stile Sepultura post “Arise” che già quello basta per farmi venire l’orticaria. Per quanto la professionalità e la bravura dei Node abbiano portato comunque a registrare un prodotto impeccabile, la svolta sonora avvenuta sei anni fa era per il sottoscritto decisamente indigeribile.
Gianluca Grazioli ha scritto precedentemente:
Vedremo in futuro se la band limerà quanto fatto in questo disco, confermandone le intenzioni, o se ci sarà un brusco comeback sulle vecchie posizioni.
Oh, so' maco...(cit.): bando a quei pensieri e bando pure a quel CD, poiché di quei Node oggi, a parte l’indissolubile
Gary D’Eramo, non è rimasto nulla, per fortuna. E non mi riferisco certo agli ex colleghi di cui non mi permetto certo alcun giudizio personale (oddio, di uno di loro magari sì…ma lasciamo perdere) o musicale quanto alla nuova svolta che è stata data con “Cowards Empire”, un comeback gradito quanto inaspettato ad un death thrash “vecchio stile”, senza alcuna concessione a modernismi vari ed anzi molto classico nell’alternanza tra ritmiche serratissime e violente ed assoli eleganti ed aggraziati, una delle marce in più di questo capitolo.
Il “rinnovamento” ha portato i Node indietro al tempo di “
Das Kapital”, peraltro probabilmente il lavoro che più apprezzo della formazione lombarda, magari in una chiave più personale ed aggiornata ma in ogni caso molto legata alla scena svedese e quasi totalmente scevra da atmosfere concesse a quel malefico groove che difficilmente sopporto, specie all’interno di un genere musicale estremo come questo.
Eppure “Cowards Empire”, nonostante la bontà dei primi due brani “
StagNation” e “
Death Reedems”, in apertura non è che mi avesse fulminato più di tanto, facendomi presagire frettolosamente un disco discreto e nulla più. Niente di più sbagliato, poiché la botta arriva con “
Lambs” e di lì a seguire fino alla conclusiva “
The Plot Survives”, ulteriori 46 minuti di metal ferale e melodico contemporaneamente, quasi delicato e sicuramente aggraziato negli eleganti assoli, contrapposti a ritmiche frenetiche sulle quali si stagliano le bestiali urla di
CN Sid, che dal look mi aveva preoccupato ma che invece dietro al microfono si dimostra scelta a dir poco azzeccata e versatile, che per alcuni versi ricorda molto lo straziato latrato di
Jeff Walker, così come il brano “
Still the Same” ricorda, in particolar modo, qualcosa di “
No Love Lost” o dintorni dei
Carcass, mentre gli episodi più veloci e tirati, come “
No Reason” o “
Money Machine”, anche grazie agli intermezzi più melodici o con le voci pulite, ricordano un po’ l’approccio dei
Darkane di cui condividono il nervosismo e la ricercatezza degli arrangiamenti, ribadite come detto negli assoli davvero curati ed azzeccati.
La conclusione affidata prima alla brutale ed incisiva “
Liar.com” e poi alla lunga strumentale “
The Plot Survives”, in cui fa bella figura come ospite
Lisy Stefanoni con i suoi gorgheggi susseguenti ad un pregiata presenza di un violino, ha un non so che di solenne, quasi una giusta cerimonia di chiusura di un lavoro che non ci aspettavamo più, a causa delle traversie interne, degli anni che passano e della magia che svanisce.
Quel giorno ancora non è giunto, anzi siamo ancora qui a scrivere la storia.