Credo che soltanto tra i più giovani appassionati di rock si possa trovare qualcuno che non conosce il nome di Steve Howe. E’ sufficiente pensare a ciò che ha realizzato con gli Yes per considerarlo uno dei monumenti della storia musicale, senza considerare i suoi trascorsi con gli Asia e gli innumerevoli progetti messi in piedi nel corso di una carriera sconfinata.
Oggi Howe è un maturo signore quasi sessantenne che non ha certo perso il vizio di creare mirabili architetture con la sua chitarra, ma che allo stesso tempo ha raggiunto quella tranquillità personale ed economica che gli consente di portare avanti le proprie iniziative senza scadenze assillanti e soprattutto con meno affanno sotto l’aspetto commerciale.
Lo dimostra la scelta operata per il nuovo album, considerata da molti come una delle più difficili e meno remunerative da proporre al pubblico odierno e cioè un disco interamente strumentale.
Spalleggiato da parenti ed amici, su tutti l’ottimo Tony Levin, il chitarrista ha dato vita ad un lavoro di grande respiro con i suoi pregi migliori in una splendida e naturale eleganza, mai ricercata né affettata, ed ovviamente nell’elevata abilità strumentale, anch’essa tutt’altro che pacchiana o autocelebrativa bensì esibita con modestia nella consapevolezza di non dover più dimostrare nulla a nessuno.
Fondato su tali basi questo “Spectrum” è venuto fuori pervaso da un’atmosfera rilassata e quasi gioiosa, all’opposto delle violente nevrosi moderne e portato alla riflessione introspettiva evitando però zavorre depressive. Brani concisi spurgati dai ghirigori superflui, fondamenti prevedibilmente rock-progressivi nel segno della vecchia scuola ampliati con delicati ricami acustici o dilatati fino ai territori jazz-rock, senza perdere di vista una piacevole accessibilità melodica.
Howe è indiscutibilmente il protagonista dell’opera, la sua chitarra inventa scenari limpidi ed affascinanti con tocchi asciutti e vellutati, aggirando quella magniloquenza che caratterizza certo prog moderno, disegni eterei e pieni di dolcezza che nei passaggi più soffusi sfiorano l’ambient music, restando però su un piano tecnico nettamente diverso, a conferma che l’ispirazione e la classe non sono stati ancora inquinati dallo scorrere del tempo.
“Spectrum” è inadatto per gente in cerca di aggressività e potenza, ma soddisferà chi ricorda bene il passato di Howe e potrà ritrovarlo in questi suoni cristallini profumati di antico, senza dare troppo peso all’assenza della parte vocale.
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