"
I tell you Jesus Christ was just an ordinary man..." così attaccava "Echoes of Evil", opener della Side B dell'esordio discografico dei
Rage: "Reign of Fear", uscito nel lontano 1986.
Da parte mia, posso invece sottolineare come i
Rage non siano mai stati una band ordinaria, tanto nelle loro primitive pulsazioni Power & Speed Teutoniche (anche quelle a nome Avenger) tipiche dei primi anni di attività, quanto a quelle più evolute e articolate di "The Missing Link" o "Black in Mind", fino a quel "Lingua Mortis" (1996) dove i
Rage (in collaborazione con Christian Wolff e l'orchestra sinfonica di Praga) entrarono a far parte del novero dei precursori del binomio Heavy Metal & arrangiamenti classici, e tutto sommato anche nei successivi lavori, dove
Peter "Peavy" Wagner aveva forse lasciato il timone ai compagni di viaggio, su tutti l’eccezionale Victor Smolski, finendo per snaturare eccessivamente il sound originale dei
Rage.
Con l'uscita dal gruppo di Smolski, ma anche di Andre Hilgres,
Peavy ha ora la possibilità di fare un salto indietro nel tempo, provando a riallacciarsi allo stile più classico del gruppo, opzione questa ancora più marcata ed evidente nei Refuge, dove lo accompagnano dei "vecchi" compagni di viaggio quali Manni Schmidt (chitarra) e Christos Efthimiadis (batteria).
I "nuovi" e
Rage invece sono formati, ovviamente oltre a
Peavy, dal chitarrista
Marcos Rodríguez e dal drummer
Vassilios Maniatopoulos, e ora con "
The Devil Strikes Again" ci ritroviamo dalle parti di "Black in Mind o "And of All Days", dove irruenza e melodia vanno a braccetto, un binomio espresso alla perfezione dall'inconfondibile voce di
Peavy, che ritroviamo in ottima forma.
Questo vale tanto per l'aggressiva titletrack, posta esplicitamente in apertura del disco, quanto per la successiva "
My Way", un po' ruffiana e già presentata lo scorso febbraio su un EP dove facevano la loro bella figura delle nuove versioni di "Black in Mind" e "Sent by the Devil", quasi a confermare quando asserito solo qualche riga più sopra. Un D.N.A. le cui tracce sono ben presenti su "
Back on Track" o "
The Final Curtain", un'accoppiata che senza particolari pretese fa compiutamente il proprio sporco lavoro. La Medaglia al Valore va invece appuntata al petto di "
War", per intensità e gli indovinati campi di tempo, mentre una tirata d'orecchi se la merita sicuramente "
Deaf, Dumb and Blind", per via di un ritornello stucchevole, ed è un peccato perché sul finale
Marcos Rodriguez piazza davvero un bell'assolo. Ma il chitarrista di origini venezuelane lascia il segno anche "
Spirits of the Night" e sulla conclusiva "
The Dark Side of the Sun", una cupa e rabbiosa mazzata sulle gengive, proprio alla "vecchia maniera".
Sempre bello ritrovare dei "vecchi amici", per di più ancora in gran forma!
I was born to
reviewHear me while I
write... none shall hear a lie
Report and
interview are taken by the will
By divine right hail and
write