Impiegarono un po’ più tempo di tanti loro colleghi (compresi i principali “rivali territoriali” Vanexa) a esordire sulla lunga distanza, ma evidentemente ai liguri
Crossbones (che già si erano affacciati al mercato discografico prendendo parte alla celeberrima
compilation "
Metallo Italia") piacevano le cose fatte per bene: contratto con la Dischi Noi (la quale riuscì a farli esibire in un memorabile
show al tempio del
rock albionico
Hammersmith Odeon, assieme a Fil Di Ferro, Touch Of Evil e Black Swan), produzione curata dal notabile
Kit Woolven (Thin Lizzy, Vow Wow, UFO, …) e il tastierista di Rainbow e Ozzy (tra gli altri …)
Don Airey a concedere il suo prezioso contributo (ed era la prima volta in assoluto che un ospite di tale prestigio appariva sul lavoro di un gruppo italico!).
Aggiungete una sontuosa copertina apribile e capirete sicuramente che “
Crossbones”, per tutti i
rockofili del
Belpaese che nel 1989 erano poco abituati a un tale livello di professionalità, non fu un’uscita “normale”.
I contenuti squisitamente musicali dell’opera sono assolutamente all’altezza di tanta opulenza, impregnati di un
hard n’ heavy molto incisivo e raffinato, ispirato dai luminari del settore (Rainbow, MSG, Loudness, …) e tuttavia capace di ostentare un notevole temperamento proprio, grazie a musicisti colti e assai talentuosi, con le idee chiare su come dovesse suonare un disco di levatura internazionale.
Dario Mollo e le sue funamboliche e sensibilissime sei corde
Blackmoresche, la voce virile e melodica (qualcosa tra
Sammy Hagar e
Graham Bonnet) di
Giorgio Veronesi e una sezione ritmica precisa e instancabile come quella garantita da
Fulvio Gaslini ed
Ezio Secomandi, sfornano un programma privo di flessioni espressive, il quale, con la potente e accattivante “
Fallen angel”, dimostra fin da subito le sue potenzialità anche in senso “commerciale”.
“
Iron in the soul” svela la spiccata passione della formazione per la nobile tradizione metallica britannica, e se la schietta dinamicità
anthemica di “
Rock ’n’ roll” contagia in maniera istantanea, le atmosfere enfatiche di “
Cry from the heart” e “
The promised land” riescono nell’impresa di rendere omaggio a due colossi del calibro di Virgin Steele e Iron Maiden senza scadere nel manierismo e nell’approssimazione di molti dei loro seguaci nostrani dell’epoca.
Grinta e coinvolgimento assicurato anche nella pulsante “
Venom” e nell’impetuosa “
Bad dreams”, mentre “
Fire” propone il momento compositivamente più ambizioso dell’intero
full-length, sospeso tra aggressività e grazia (nel pezzo è possibile scorgere addirittura vaghi bagliori dei Rush …), in cui
Mollo e
Veronesi si spartiscono equamente il proscenio in fatto di abilità tecnica e perizia interpretativa.
La rilettura della
Vivaldiana “
Winter” è la classica “ciliegina sulla torta” di un albo che non avrà inspiegabilmente un successore e che per anni è stato un vanto delle collezioni viniliche degli appassionati più “maturi” del genere o di quelli maggiormente attenti alla sua favolosa (e spesso,
ahimè, assai iniqua …) storia.
Oggi, grazie alla consueta benemerita iniziativa della
Jolly Roger Records, che ne cura una sacrosanta ristampa in
Cd, nessuno ha più scuse, perché anche se
Dario Mollo ha negli anni perfezionato ulteriormente il suo stile e continuato a diffondere sotto varie forme il suo enorme acume artistico (collaborando con
Tony Martin e
Glenn Hughes e diventando un affermato produttore e ingegnere del suono …), “
Crossbones” non ha perso una stilla di quella “eccezionalità” che ci rese così fieri di essere italiani.
Buy or die!