"
6 years in the making", come direbbero in America. Eppur non si direbbe.
I
Crafter of Gods nascono in quel di Treviso quasi 10 anni fa e, dopo aver dato alla luce un primo demo nel 2009 (
"A Bruise Through the Dark", decisamente poco apprezzato ai tempi dal nostro Cory) portano alle stampe nel 2015 questo "The Scarlet Procession".
Ho detto in apertura che non si direbbe che siano passati 6 anni, perchè? Semplicemente perchè uno si aspetterebbe dei notevoli miglioramenti in 6 anni di coesistenza, invece (purtroppo) di miglioramenti ce ne sono davvero pochi. Sia chiaro, non siamo ai livelli del 3 affibbiato da Cory, ma la sufficienza anche qui è difficile da raggiungere.
Togliamoci subito i sassolini dalle scarpe: i suoni sono all'80% pessimi. Ok, stiamo parlando di una produzione indipendente e non si può pretendere chissà che, ma a volte i suoni della batteria e soprattutto delle tastiere sono da galera. Prendete le tastiere a corollario della strofa nell'opener "
The Tempest Legacy" ad esempio, che coprono in maniera indistinta tutto il resto.
La voce femminile è pressoché inutile. Non me ne voglia la pur brava Francesca, ma trovo che il meglio i Crafter of Gods lo diano quando a imperversare è l'ottimo, davvero ottimo growl di Giovanni, accompagnato dalle atmosfere più black-oriented, come su "
In Silence of Death We March".
Per il resto si tratta di un disco senza infamia e senza lode, dove parti black s'incrociano in maniera un po' raffazzonata con segmenti gothic o sinfonici, creando a tratti buone soluzioni e pasticci confusionari.
In questa dicotomia s'innesta in maniera assolutamente inaspettata il brano di chiusura, "
Celestial Breed, Treacherous Blood", che mostra decisamente il lato migliore dei trevigiani. Un brano davvero ben riuscito, figlio di idee chiare e ben realizzate, dove oscurità e luce coesistono in modo perfetto e dove anche la voce di Francesca risulta non eccessivamente fuori luogo.
Ecco, se tutto "
The Scarlet Procession" fosse stato sui livelli di quest'ultimo brano, staremmo parlando di un disco dal grandissimo potenziale. In realtà i
Crafter of Gods devono fare molto, molto di più per poter pensare di inserirsi in maniera decisa in un mercato davvero saturo di proposte. Una sufficienza molto stiracchiata, resa tale dall'impennata finale. Prendete l'ultimo brano e fatene Vangelo, la strada è quella.
Quoth the Raven, Nevermore..
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