Ci sono voluti trent’anni per vedere il
monicker dei
Q5 riportato agli onori della cronaca e la reazione che ho avuto durante il primo contatto con “
New world order” è stata molto semplice e pure abbastanza sconfortante: non li ho riconosciuti.
Che fine ha fatto il sopraffino e tagliente
US metal di “
Steel the light”? Ancora di più, dov’è finito il mirabile
hi-tech AOR di “
When the mirror cracks”? E poi, chi mai saranno questi
pusillanimi che stanno “usurpando” la nobile denominazione con un disco di mediocre
hard n’ heavy, tra scorie di AC/DC e bagliori di Saxon?
Scoprire che in realtà si tratta di tre quinti della formazione storica dei
rockers di Seattle (
Jonathan K.,
Rick Pierce ed
Evan Sheeley), coadiuvati da un paio di esperti esecutori (
Jeffrey McCormack e
Dennis Turner), sorprende un po’ e sollecita un immediato ulteriore approfondimento, sforzandosi di sgomberare la mente da “nostalgie” e memorie fatalmente poco imparziali.
Alla luce di tale “razionale” analisi posso dire che i
Q5 (noti soprattutto perché il loro ex chitarrista,
Floyd Rose, nel lontano 1977 inventò, imponendogli il suo nome, uno dei ponti per chitarra ancora oggi più utilizzati al mondo …), per affrontare la convulsa scena musicale dell’anno 2016, hanno deciso di abbandonare le sonorità adulte (l’unica vaga concessione al genere è possibile rintracciarla nella discreta “
Just one kiss”, stilisticamente non lontanissima da certe cose dei Praying Mantis), trasfigurare la loro primigenia vocazione al
power metal yankee avvicinandola alle atmosfere della
NWOBHM e aggiungere all’impasto sonico una bella dose di ruvidi
mid-tempos di marca “australiana”.
Il problema è che il risultato non va,
ahimè, oltre la sufficienza … il
songwriting è eccessivamente anonimo e vittima di oleografici
cliché, ed esperienza e solidità tecnico-interpretative non riescono a risollevare le sorti di un albo destinato al limbo di una modesta gradevolezza complessiva.
“
We came here to rock”, “
The right way” e la scalciante "
Tear up the night” sono buoni esempi di
hard n’ boogie e qualche sussulto di livello superiore lo procurano pezzi come “
One night in Hellas”, “
New world order”, “
Unrequited” e le cadenzate “
A prisoner of mind” e “
Land of the setting sun”, in cui emerge lo spirito enfatico e metallico degli americani, mentre lo strumentale “
Mach Opus 206” offre l’occasione di sottolineare la buona prestazione dei musici della
band, decisamente più in forma del loro cantante, sempre carismatico e tuttavia a volte leggermente in “debito d’ossigeno”.
Troppo poco, davvero troppo poco, e per ogni tipologia di
rockofilo all’ascolto … superfluo aggiungere che io e tutti i
fans dei
Q5 ci aspettiamo (anzi, esigiamo …) un pronto riscatto …
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