Sono passati due anni dall'uscita del discusso "Enemies of Reality", un lavoro più che discreto il quale, complice una produzione a dir poco scandalosa, ha considerevolmente ribassato le azioni del gruppo Nevermore. Se poi si considera che in questo lasso di tempo anche le performance live sono state di livello piuttosto scadente, specialmente se confrontate con le brillanti esibizioni che hanno contraddistinto l'annata d'oro 2001, sia al Gods of Metal che al Wacken Open Air Festival (chiudiamo un occhio sul Metal Odissey dove non impressionarono, se paragonate ad esempio agli In Flames devastanti di quella stessa serata), possiamo facilmente intuire che la band di Seattle sia arrivata ad un momento cruciale della sua carriera. "This Godless Endeavour" deve assolutamente rappresentare l'atto iniziale e contemporaneamente decisivo per sancirne la ripresa ad alti livelli, ed è quindi capibile come il gruppo abbia deciso di riproporre certe sonorità e certi cliché che hanno furoreggiato ai tempi di "Dead Heart In a Dead World", ulteriormente potenziate ed incattivite. Lo stesso Loomis, in sede di intervista, non ha avuto difficoltà ad ammettere che in sostanza "This Godless Endeavour" rappresenta una sorta di "DHIADW" parte 2, con una dose maggiore di rabbia e sentimento. Tutto sommato possiamo dargli ragione, in quanto alla violenza spiazzante di canzoni quali l'iniziale "Born" e "Future Uncertain", si aggiungono passaggi più ragionati e sentiti, come le melodiche "Sentinel 6" e "Sell My Heart For Stone". Rimane comunque un senso di costante deja-vu, causato soprattutto dalla carismatica voce di Warrel Dane, che onestamente non dispiace; in realtà quasi tutto l'album mostra una certa prevedibilità nel suo svolgersi attraverso le undici canzoni presenti, mentre il compito di spezzare il questo ritmo spetta alla deviata "The Psalm Of Lydia" ed alle sue dissonanze ritmiche diminuite condite con qualche leggerissima spruzzata acustica di vago sapore latineggiante. La struttura generale delle song è stata finalmente articolata e diversificata rispetto al recente passato (la conclusiva titletrack, che racchiude l'anima sia feroce che disperata del disco, ne è un esempio lampante), segno evidente della cura con la quale è stato composto e arrangiato il disco. Anche dal punto di vista tecnico i nostri mostrano il meglio del loro repertorio: la chitarra di Loomis in particolare dimostra tutta la sua perizia sparando assoli sempre veloci, puliti ed impeccabili. E dulcis in fundo anche la produzione questa volta risulta subito pulita, definita e sufficientemente potente. Il primo passo è stato fatto, chi ha apprezzato "Dead Heart..." rimarrà sicuramente ampiamente soddisfatto da questo "This Godless Endeavour", ora non resta che verificare se anche dal vivo i Nevermore sono riusciti a tornare ai fasti del passato. Tre parole per concludere: buy or die!
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