Se decidessimo d’indire un concorso per premiare la band più divisiva dell’odierno panorama metal, ben difficilmente rinverremmo compagini in grado di contendere la vittoria ai
Ghost.
Tanto per fare un esempio: all’interno della nostra gloriosa redazione, a fronte di alcuni coraggiosi paladini degli svedesi mascherati, annoveriamo un foltissimo stuolo di detrattori che, all’ascolto dell’ultimo
EP, anteporrebbero un weekend in baita a discutere di cultura LGBT con
Carlo Giovanardi.
Io, se mi è concesso, opto ben volentieri per la prima opzione, e già che ci sono stendo anche una piccola recensione di questo nuovo “
Popestar”, tiè.
Un doveroso avvertimento agli utenti più intransigenti -che, fra l’altro, ben difficilmente si saranno spinti sin qui nella lettura-: il gioco di parole su cui si fonda il titolo, seppur sciocchino, cela una buona dose di verità, posto che a venir esplorato, nei 23 minuti che compongono il platter, è proprio il lato più commerciale e morbido del sound ghostiano.
Ve ne accorgerete immediatamente, non appena si propagheranno nell’aere le contagiose melodie dell’apripista “
Square Hammer”. Produzione leggerissima (opera di
Tom Dalgety), hooks da tormentone radiofonico, soliti richiami ai
Blue Öyster Cult… ma provateci voi a levarvi dalla crapa l’arrangiamento di tastiera o la linea vocale del
chorus.
Purtroppo, l’opening track si rivelerà l’unico episodio davvero convincente di “
Popestar”, ad ulteriore dimostrazione dello scarso feeling dei Nostri con il formato
EP.
Le cover di matrice
new wave, in effetti, mi hanno lasciato l’amaro in bocca: la rielaborazione di "
Nocturnal Me" non convince a causa di intrecci chitarristici legnosi quanto
Chiellini in fase di disimpegno (ad essere onesti, non mi ha mai garbato granché nemmeno l’originale degli
Echo & the Bunnymen), mentre la soffusa “
I Believe” dei
Simian Mobile Disco (chi li conosce è bravo) scorre senza lasciar particolare traccia.
Più azzeccato il ripescaggio di “
Missionary Man” -
Eurythmics-, resa perlomeno godibile da una ritrovata vena rockeggiante e da un’interpretazione insolitamente sorniona di
Papa Emeritus III. Si chiude con un pezzo degli
Imperiet (chi li conosce è bravo Pt. II) chiamato “
Bible”, sorta di gospel dal forte sapore anthemico. E se, ascoltando distrattamente le lyrics, vi venisse da pensare “Oibò, oltre che al pop questi si sono convertiti anche al cristianesimo!” state pur tranquilli: si tratta di un testo tutt’altro che glorificatore.
Esattamente come questa recensione, a voler ben vedere, dal momento che “
Popestar” presenta un unico brano inedito (peraltro ottimo) e che si tratta di un prodotto piuttosto estemporaneo, registrato tempo addietro e nient’affatto indicativo delle future evoluzioni sonore dei
Ghost.
Poco più di un pretesto per andare in tour insomma, cosa che oltreoceano sta già avvenendo.
Personalmente, pur dando atto della sostanziale superfluità del disco in esame -per quanto, occorre dirlo, i dati di vendita sinora siano a dir poco lusinghieri-, auspico un pronto ritorno dei demoni senza nome anche dalle nostre parti, visto che il concerto in quel di
Trezzo me l’ero proprio goduto.
Come dite? Preferireste il weekend in baita col senatore?
De gustibus…