Un altro gruppo italiano della scuderia Dufresne, i The Fog in the Shell si presentano con un lavoro ostico e trasversale, senza dubbio inadatto ad un ascolto frettoloso e superficiale.
Lunghi percorsi dilatati che valicano i confini della forma-canzone, un disco nel quale le atmosfere e le immagini evocate sostituiscono il classico rifferama o la serie di ritornelli accattivanti. Brani dalle vibrazioni profonde che pescano nella tenebra unicamente sensazioni di sconforto ed abbandono, frantumate talvolta da scosse sonore alle quali aggrapparsi come zattere per non sprofondare nell’oceano nero e mortale.
Al di là di queste fantasie, inevitabili quando si è di fronte a musica che punta alla mente e non al fisico, l’influenza di formazioni come Neurosis o Isis è addirittura lampante, basti vedere la base onirica e narcolettica che funge da sfondo al dipanarsi delle canzoni.
Fin dall’iniziale “The river” veniamo trascinati da una corrente trasparente, fatta di increspature ritmiche ed impalpabili arpeggi malinconici che a sprazzi erutta scaglie di nervoso fragore heavy. Qui la voce è presenza distante e sfuggente, prevale di gran lunga l’aspetto strumentale, ma nenie sussurrate o declamazioni quasi casuali si manifestano per accompagnare i plumbei e rarefatti ritagli acustici di “Livings dreams..” e “Toward the crimson eye”. Quando in “A man escaped” il gruppo si scuote ed aumenta i battiti, è soltanto una bolla di breve esistenza che si scioglie presto nel flusso magnetico e privo di luce, il quale trova il suo naturale sbocco finale nell’episodio più completo e complesso “I can be the chaos..” dove l’energia repressa strabocca in ondate ipnotiche formando un sinuoso gorgo tambureggiante.
Se da un lato l’opera dei TfitS è certamente meritevole per la lontananza dai soliti canoni metal/rock e per i sentimenti intensi e sofferti che esprime, a mio avviso la band ha forse calcato troppo la mano sull’aspetto intimista della proposta, rendendo l’ascolto piuttosto pesante e pericolosamente vicino a generare qualche sbadiglio.
Le idee senz’altro ci sono, magari è possibile svilupparle aggiungendo qualche schiarita ed ulteriori fasi dinamiche. Discorso simile per l’originalità, con un surplus d’impegno ci si può allontanare dai modelli scelti, per il momento ancora molto evidenti.
Comunque per chi apprezza questo genere di heavy di non facile definizione, i The Fog in the Shell sono un nome da conoscere.
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