Pur conscio che nella vita i dilemmi sono altri, non nego un certo imbarazzo nel giudicare la nuova opera dei
Lotus Thief.
Se da un lato, infatti, la tentazione di sperticarmi in lodi per una band a suo modo unica nel panorama odierno è forte, dall’altro mi vedo costretto a frenare gli entusiasmi. Distinguendomi, così, dal consenso pressoché plebiscitario che “
Gramarye” sta riscuotendo un po’ ovunque in giro per il web.
Le ragioni di cotale entusiasmo arrivo a comprenderle eccome, tanto da poterne stilare un pur sommario elenco:
- sound particolarissimo, che potremmo delineare come una sorta di commistione di
avantgarde,
space rock,
post-black e
dark ambient;
- ardite lyrics di matrice storico/filosofica: dopo il debut “
Rervm”, i cui testi erano ispirati al poema didascalico latino “
De rerum natura” di
Tito Lucrezio Caro, i Nostri decidono ancora di attingere da antichi testi come l’”
Odissea” o “
Gli incantesimi di Merseburg”, unica testimonianza di fede pagana germanica scritta in antico alto tedesco;
- female vocals, opera di
Bezaelith, anch’esse riconoscibili in mezzo a mille: eterei, sognanti, mistici, i vocalizzi della cantante donano alle composizioni un ulteriore tratto distintivo;
- scelte dietro al mixer orgogliosamente in controtendenza rispetto alle ultra-compresse produzioni di oggidì: organici e splendidamente naturali, i suoni di “
Gramarye” si sposano alla perfezione con la proposta della compagine americana.
Dunque, a fronte di tale ben di dio, come mai “solo” un’abbondante sufficienza?
Semplice: il songwriting, maledizione.
Quando le componenti sopra elencate confluiscono in composizioni ben progettate, come l’iniziale “
The Book of the Dead”, “
Idisi” o “
The Book of Lies”, l’ascolto è un autentico piacere, tra saliscendi strumentali, atmosfere cangianti e pillole di
Alcest,
Hawkwind e
Arcturus (poi io qua e là ci sento anche i
Cocteau Twins, ma temo dipenda dal rincoglionimento incipiente).
Al contrario, quando si perde la trebisonda compositiva, ecco che il rischio di una deriva soporifera si materializza con puntualità svizzera.
Penso all’estenuante digressione simil-psichedelica di “
Circe” e al mortifero immobilismo che inaugura “
Salem”, doppietta colpevole, almeno alle mie orecchie di metallaro retrivo, di far scendere non poco le quotazioni di questo “
Gramarye”. E non vale controbattere “Eh, ma in fondo son solo due canzoni”, visto che la tracklist ne prevede cinque in totale…
Individuerei un’ulteriore nota di demerito nell’alterigia che troppo spesso s’impossessa della band, erigendo una muraglia di spocchia tra la stessa e l’ascoltatore. In parole povere: l’approccio intellettuale ci sta, ma un pelo di concretezza e grinta in più non guasterebbero.
Per quanto mi riguarda, ci troviamo di fronte ad un’occasione mancata. Ai più avventurosi il disco piacerà -purché gli si conceda tempo e pazienza-, ma resto convinto che l’immenso potenziale dei
Lotus Thief sia ad oggi ancora inespresso.
Il tempo è dalla vostra parte: stupiteci, ne avete le doti.