Poche band possono dirsi veramente fondamentali nel ribollente calderone del metal estremo: tra queste un posto di rilievo spetta certamente ai tedeschi
Bethlehem i quali, grazie ai loro primi tre, indimenticabili, lavori hanno inventato il Dark Metal dando il via ad un filone che tanti proseliti ha saputo creare nel corso degli anni.
Nonostante il loro ruolo di precursori ed innovatori, i
Bethlehem sono sempre rimasti un gruppo fieramente underground che ha fatto parlare solo ed esclusivamente la sua musica, preferendo, dunque, l'essere musicisti piuttosto che pagliacci, cosa questa che il nuovo, omonimo, lavoro conferma pienamente dando ai Nostri la possibilità di celebrare i loro 25 anni di attività nel miglior modo possibile.
Il nuovo album, oltre che per la ricorrenza storica, è importante anche per l'ingresso di due nuovi musicisti che hanno portato linfa vitale al gruppo di Grevenbroich: alla chitarra troviamo, infatti, il russo
Ilya Karzov, autore di una prestazione semplicemente perfetta e alla voce
Yvonne ‘Onielar’ Wilczynska, già frontwoman dei Darkened Nocturn Slaughtercult, la quale con una prova assolutamente malata non fa che esaltare le composizioni di uno
Jürgen Bartsch sempre più deviato e controverso.
I dieci nuovi brani che ci vengono offerti dal quartetto sono, e non poteva essere diversamente, un lento perdersi negli anfratti più oscuri e spaventosi nella propria mente, sono le tenebre che calano su di noi, sono la morbosità dei pensieri più deviati degli essere umani, sono, in una sola parola, malati.
I
Bethlehem, infatti, inscenano un suono insano e corrosivo, in bilico tra sfuriate black metal, tetro death thrash e deliziose atmosfere darkwave (fondamentale l'apporto del basso "notturno" del leader del gruppo), in grado di infastidire l'ascoltatore con il suo costante alternarsi di velocità e pura schizofrenia, di oscura melodia, quasi teatrale, e brutalità incontrollata il tutto coagulato in una melma sudicia di dolore e disperazione che, improvvisamente, è anche in grado di aprirsi a partiture di eterea bellezza che, altrettanto improvvisamente, vengono martoriate dalle rasoiate delle sei corde o dalle vocals torturate ed inquietanti della cantante.
Certo non siamo ai livelli dei primi capolavori, ma è innegabile che pezzi come la terrificante
"Kalt' Ritt in leicht faltiger Leere" (potete ascoltare il brano nel player in basso), la mortale
"Die Dunkelheit darbt", lo stregonesco mantra di
"Gängel Gängel Gang" (qui Onielar è davvero posseduta!) o le oscure
"Verdammnis straft gezügeltes Aas" e
"Kein Mampf" (la prima incredibile mix di stili diversi e apice del disco, la seconda che sarebbe piaciuta ai Joy Division), diano prova di una ritrovata vena compositiva di un gruppo ancora in grado di sorprendere con la sua folle genialità e con il suo saper essere "altro" rispetto a tutto il resto della scena.
"Bethlehem" è, dunque, un album pienamente riuscito, è un album sofferente e straziante che saprà accompagnarvi in un viaggio nella pura follia dalla quale, difficilmente, potrete tornare indietro se non profondamente cambiati... in male.
Dopo tutti questi anni, ancora maestri.
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