Che disco strano.
Gli
Skyline sono italiani di Torino, attivi dal 2004, con alle spalle un unico album autoprodotto datato 2010 dopo il quale come accade spesso hanno avuto alcuni problemi nel trovare una lineup stabile. Ci sono riusciti nel 2014 con l’arrivo del tastierista
Fabio Gagliardi e del cantante
Edoardo Pacchiotti, con i quali hanno dato alla luce questo “Nowhere Here” uscito per
RS Music e lanciato dall’omonimo singolo.
Autori di un modern hard rock spiccatamente influenzato da 3
Doors Down, Breaking Benjamin e
30 Second To Mars, i nostri connazionali hanno sposato gli insegnamenti dei loro numi ispiratori ma sono abilmente andati oltre, riuscendo a fondere il tutto in una proposta che ha il merito di non cadere nella banalità e di non eccedere nell’uso dei cliché di un genere che, diciamo la verità, non brilla certo per originalità.
Dicevo che
“Nowhere Here” è un disco strano. L’inizio sparato con l’accoppiata
“Way Home” e
“I Don’t Care” mi aveva fatto pensare male. Chitarre distorte a palla, ritmiche decise e linee vocali che sembrano puntare solo a un gran chorus preludevano al solito concentrato di monotonia in cui ogni canzone sembra il continuo della precedente. Per fortuna la band torinese ci ha messo dentro qualcosa di suo nel tentativo, in parte riuscito, di allontanarsi dalla frittura totale globale in cui galleggiano miriadi di realtà troppo simili l’una all’altra.
“The Game” e la splendida
“Catch Me” sono l’esempio lampante di quanto la voglia di farsi sentire ed emergere dalla massa sia importante nella musica che in questo caso lascia da parte il lato più aggressivo e mostra in tutta la sua luce quello melodico, intimista e, se vogliamo, pop rock. Gli
Skyline spostano leggermente il tiro, scelgono linee vocali e arrangiamenti più soft, mirano dritti al cuore e in molti passaggi colpiscono il bersaglio in pieno. Succede nella title track, nella più canonica
“Red” e nell’ottima
“Everything Is Wrong”, canzoni in cui si alternano passaggi molto (troppo?) derivativi a momenti che catturano maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore. La chiusura affidata a
“The Sun” rappresenta un po’ tutto quanto detto finora, un mix tra l’alternative più pompato e un rock più ragionato ed emozionale che lascia molto ben sperare per quello che gli
Skyline possono fare in futuro.
In definitiva un disco godibile e maturo, forse ancora troppo legato alle icone del genere, ma con ampi margini di miglioramento per un gruppo che deve soltanto avere il coraggio di osare qualcosina in più.
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